26. LA DONNA PERFETTA

Stesi sull’erba del Parco Sempione io e Giulia cerchiamo di conoscerci meglio, di aprirci una parte del nostro cuore. Vorrei fare le cose con calma, non svelare troppo della mia vita e del mondo che ho dentro, ma so che come al solito farò un mucchio di cazzate. Con le donne non ci so proprio fare!

–         A che pensi? – Giulia mi guarda con i suoi enormi occhi azzurri, mentre qualche nuvola minacciosa si muove sopra di noi.

–         A nulla in particolare…

–         Cos’hai le scimmie nel cervello come Homer Simpson? Non mi sembri il tipo!

–         Ma no! Dai, non sto pensando a niente.

–         Non ti credo!

–         Eheh…e va bene. Penso alla mia ex…

–         Ancora?

–         Ancora…- mi vergogno tremendamente e non riesco a guardare quei suoi immensi occhi mentre le parlo.

–         Raccontami di lei. Non ne abbiamo mai parlato.

–         Lei era…era tutto.

–         Ovvio! Altrimenti non l’avresti amata…

–         Certo. Ma era tutto, nel senso che nella mia vita stava ricoprendo più ruoli. Riusciva a farmi da amante, da amica, da madre. Con lei sentivo la mia vita completa.

–         Ne sei proprio sicuro?

–         Che vuoi dire?

–         Bè…se la tua vita era così completa, perché eri comunque un infelice? Perché dopo appena un mese dalla fine della vostra storia hai mollato il lavoro? E perché mentre eri con lei non hai fatto altro che lamentarti della tua situazione precaria?

–         Perché avevo paura. Volevo che fosse tutto perfetto, volevo che anche il lavoro andasse meglio. Volevo sognare un futuro che non riuscivo a vedere.

–         Tu sei uno che non riesce a vivere senza programmare le cose vero?

–         No. Almeno era così in passato. Oggi mi sveglio la mattina e il mio unico obiettivo è arrivare vivo alla sera.

Ride a crepapelle e mi dà un pizzicotto su una guancia. E’ un gesto che odio! Come se fossi un povero scemo di 14 anni. La ritengo una mancanza di rispetto, è un modo così patetico di sminuire quello che una persona sta dicendo.

–         Io ho quasi 30 anni Diego. Ho un lavoro precario e che non so quali prospettive possa offrirmi. Al momento sto bene a Milano ma so che non voglio passarci il resto della mia vita. Insomma, il mio futuro è incerto quanto il tuo…eppure non mi preoccupo, vivo alla giornata e me ne frego della carriera. Se domani dovessi restare senza lavoro sai cosa farei?

–         Cosa?

–         Preparerei la valigia e me ne volerei all’estero. In Spagna o in Inghilterra. Andrei lì all’avventura e mi accontenterei di fare qualsiasi cosa che mi possa permettermi di mantenermi. La carriera è un’invenzione del ventesimo secolo! Che te ne frega. Non è il lavoro che ti deve rendere felice, sei soltanto tu. E tu non sei il tuo lavoro!

–         Ma il lavoro è una parte fondamentale della vita. Non possiamo considerare una cosa che ci riempie la maggior parte delle nostre giornate come un di più! Comunque è strano sentirti dire queste cose…

–         In che senso?

–         Clelia era completamente diversa da te. Era ossessionata dalla carriera, dal successo. Doveva dimostrare di sapercela fare, di essere la migliore. E questo mi ha fatto male, ma l’ho capito solo col tempo. Ha aumentato il mio stress, la mia ansia, la mia fottutissima paura di non farcela.

–         Mi stai paragonando alla tua ex? Devo preoccuparmi?

Alzo gli occhi al cielo e getto uno schiaffo al vento, come per far volare via la cazzata che ha detto. In realtà non ha tutti i torti. A prima vista mi ha colpito una certa somiglianza tra Giulia e Clelia. Non che si somiglino sul serio, ma come tipologia di donna siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Sono quelle donne che riescono a farti sentire completo. Le donne che hanno in sé la sensualità, il senso materno, la dolcezza e l’eleganza. Non so se esista la donna perfetta a questo mondo, ma se esiste probabilmente è fatta così.

–         Ma no Giulia…non preoccuparti, non te lo faccio passare questo guaio.

–         Ahahah…sei troppo scemo tu!

–         Grazie eh, sempre piena di complimenti.

–         Scherzo. In realtà sei una bella persona tu. Mi piaci, sei proprio un bravo ragazzo.

Ecco, la storia del bravo ragazzo che torna a perseguitarmi. Se sei un bravo ragazzo non sei nessuno. Nessuna donna è attratta dai bravi ragazzi. Ed è per questo che resto sempre solo e che nessuna mai si lascia andare con me. Sono quello che fa colpo le prime due volte, perché è simpatico, galante, intelligente. Poi viene fuori la storia del bravo ragazzo e finisce tutto lì. Mi tradiscono la mia faccia ingenua, che purtroppo nasconde tutta la rabbia che ho verso il mondo in questo momento. Non servono a niente i piercing che porto ancora sull’orecchio sinistro, nonostante sia arrivato alla soglia dei 30 anni. Non serve a niente cambiare taglio dei capelli: corti e spettinati, ricci e lunghi, lisci e pieni di gel. La mia faccia mi fotte, le mie parole mi condannano definitivamente. Sono proprio stanco di essere quel bravo ragazzo e non ne posso più delle ragazze che mi guardano come se fossi un orsacchiotto di peluche. Ho carne, muscoli e vene che pulsano sotto la pelle e nessuna di voi sembra accorgersene.

Resto in silenzio dopo il suo pseudocomplimento e mi giro su un fianco a guardare le fantastiche modelle che leggono riviste fashion a pochi metri da noi.

–         Perché ti giri dall’altra parte Diego?

–         Così…

–         Ti sei offeso per qualcosa?

–         No, perché mi sarei dovuto offendere?

–         Ok…comunque è ora di tornare a casa. Stasera c’è l’aperitivo in Corso Como ricordi?

–         Certo.

–         Viene anche il tuo amico che era alla festa sul tram? Come si chiama?

–         Chi, Davide?

–         Sì lui. E’ simpatico, come te. Chi si somiglia si piglia in fondo.

–         Ovviamente. Mica frequento gente antipatica io! A parte te!

–         Gne gne gne…scemo!

Mi piace prenderti in giro e nascondere quello che giorno dopo giorno sta nascendo in me. Ho solo paura di fare un passo in avanti, perché non so quello potrei trovare sulla mia strada. Non voglio soffrire di nuovo, non così presto e non a causa tua Giulia.

25. LET ME ENTERTAIN YOU

Giulia mi riempie la vita di occasioni. Feste, aperitivi, locali fighettini in cui mai e poi mai avrei messo piede. Ogni serata è una nuova opportunità per conoscere una marea di gente, così tanta da far fatica a ricordarne il nome. E soprattutto, napoletani, orde di napoletani. Eserciti tristi e confusi di partenopei in cerca di un pezzo di casa. Il nostro amato e bistrattato dialetto diventa così lingua nazionale per i nostri ritrovi. Neanche quando siamo nella nostra terra usiamo così tanto espressioni dialettali e modi di dire squisitamente partenopei. E’ un segno di appartenenza, di nostalgia. Facciamo emergere il nostro lato meridionale e lo eleviamo al quadrato, pur di recuperare un pezzo di quello che abbiamo lasciato quasi 1000 km più a sud di Milano. Se solo avessi la forza e la capacità di farmi avanti con qualche ragazza, a quest’ora sarei già tra le braccia di qualcuna e starei dimenticando Clelia alla grande. Per non parlare di Martina, lei è un chiodo fisso che non vuol saperne di andar via. Ovviamente, dopo il nostro incontro a Torino è sparita di nuovo. Non risponde ai messaggi, non dà segni di vita. Niente di niente e faccio fatica a capire il perché. Se non ti va di perder tempo con me potresti dirlo e arrivederci. Ho vissuto tutti questi anni senza averti nella mia vita e se voglio posso farlo di nuovo, anche se stavolta sarà molto più dura. Assaltiamo un tram. Festa privata su uno dei vecchi tram milanesi, che l’azienda municipale dei trasporti ha furbamente trasformato in discoteche su rotaia. L’alcol scorre a fiumi, le urla invadono ogni centimetro di questo trabiccolo a motore. Giriamo per le strade di una Milano silenziosa, in un sabato sera che sa di pioggia e inverno avanzato. In piedi su una delle panche di legno, faccio fatica a capire dove siamo. So solo che stasera avrei tanta voglia di andare, di spegnere il cervello. Sei qui per questo Giulia, per spegnermi il cervello. Per farmi riscoprire il lato leggero della vita, l’incoscienza, la capacità straordinaria di cogliere l’attimo e di fottersene del domani. Sei arrivata in questo periodo sfigato per scuotermi dal sonno e accompagnarmi in un mondo senza preoccupazioni e grosse pretese. L’insostenibile leggerezza dell’essere diventa improvvisamente aria, impossibile da toccare e incapace di far male. Sono una piuma che viaggia su un tram, una piuma che vola tra le strade di Milano senza meta. Mi bastano pochi minuti per farmi conoscere da tutti. Dalla mia postazione urlo e dirigo i cori, come un vecchio ultras dall’esperienza pluriennale. Sono il re della serata, quello che crea il casino. Lasciatevi intrattenere, fate parlare il clown. Il vecchio e triste clown che nasconde il dolore e l’ansia sotto risatine buffe e battute d’avanspettacolo. I miei professori delle medie avevano raccomandato ai miei genitori di iscrivermi alla scuola di recitazione. Incasinavo così tanto i loro programmi scolastici e le loro noiosissime ore di lezione da esser spedito fuori dalla classe almeno una volta alla settimana. Ero il clown, lo scemo del villaggio, quello destinato a piangere in silenzio e a far ridere a crepapelle tutti quelli che lo circondano. Peccato che negli anni del liceo mi sarei trasformato in un poeta decadente, rinchiuso nel suo angolino di banco, perso tra pensieri profondi e paura del domani. Mentre il presente mi scivolava tra le dita, arido e anonimo. Avevo ucciso il clown, per non deludere i miei, per paura di fallire a scuola e di diventare un poco di buono. Serietà, ci voleva disciplina e serietà. Oggi sono passati 13 anni da quando per la prima volta mi sono seduto sui banchetti del liceo. Riecco il clown, sepolto e abbandonato per anni fa la sua ricomparsa. Ridete gente, divertitevi davanti ai miei occhi stanchi e tristi. Divertitevi per me, accoppiatevi tra litri di vodka e culi sodi, tra tette al vento e capelli impomatati. Io vi guardo dall’alto, anonimo spettatore e direttore d’orchestra del vostro godimento. Non c’è lussuria per me, non c’è godimento. Guardare e non toccare, provocare ma non cogliere mai il frutto proibito. Sto lentamente diventando asessuato a furia di crogiolarmi tra amori impossibili e ricordi del tempo che fu e che mai più sarà. Per tre ore il tram si muove come un serpente tra le strade larghe e vuote di Milano. Torniamo alla base e veniamo sbattuti fuori, pronti a tuffarci in qualche locale per il bicchiere della buonanotte. Spostiamo i nostri culi sudati fuori a un localino in zona Arco della Pace, un altro ritrovo finto e ipercostruito dei giovani milanesi e dei finti lumbard come noi. Chiappe al vento, camicie stirate, capelli appena tagliati, pettorali in bella mostra. Ogni volta che mi butto in queste situazioni mi sento un alieno. Ma oggi ho imparato a fottermene alla grande, mentre in passato avrei camminato tra questi piccoli dei scesi in terra con la coda tra le gambe e lo sguardo basso. Chiacchieriamo del più e del meno, mentre non perdo l’occasione per continuare il mio show comico. Sono una macchietta mal riuscita, una cattiva imitazione di me stesso. – Tu sei atipico come napoletano – una biondina riccia, che a stento avevo visto nel tram, mi rivolge la parola dopo aver ascoltato per ore i miei in utilissimi sproloqui. – Che? Atipico? – Sì…sei uno di quei napoletani “signori”. Voi napoletani siete così, o siete il massimo dell’eleganza e della classe o siete i più cafoni del mondo. – Beh, come diceva qualcuno molto più nobile di me…Signori si nasce e io lo nacqui. Ride imbarazzata. Si passa le mani tra i riccioli e fa fatica a reggere il mio sguardo perso tra alcol e sonno. E’ carina, niente per cui perderei il sonno e la testa. Ma è carina. Un ragazzo “normale” le starebbe già col fiato sul collo per rivedersi e approfondire la conoscenza. – Ti ho notato mentre eravamo sul tram. Hai una simpatia geniale, originale…ricordi Massimo Troisi, sia nel modo di parlare che nell’accento. Che onore! Magari avessi una caccola dell’intelligenza e della genialità di Massimo. – Sai, da bambino abitavo nello stesso paese in cui è cresciuto lui. Forse per questo il mio accento è un po’ simile al suo. Sembriamo due idioti, due adolescenti timidi che non sanno cosa dirsi e come muoversi. Parliamo di comici napoletani e simpatia meridionale per dieci minuti, senza dirci un cazzo sulle nostre vite e senza minimamente preoccuparci della possibilità di rivedersi. Arriva la sua amichetta e le dice che è ora di andar via. – Comunque io mi chiamo Giada – – Bel nome. Io sono Diego – – Come Maradona? – – No, come Zorro – – Sei troppo forte. Allora ci rivediamo presto – – Certo, buonanotte – Bacetto sulla guancia e a letto senza cena. Ma cazzo, come posso essere così idiota da non chiedere il numero di telefono a una ragazza che stranamente si interessa a me e mi fa un complimento. Ma chi spero di trovare sulla mia strada, Monica Bellucci con le tette da fuori che dice di volermi sposare e voler fare 10 figli con me? Giulia ha assistito alla scena da lontano. Divertita si avvicina e senza pensarci troppo su decide di prendermi per il culo. – Abbiamo fatto colpo? – – No, abbiamo fatto schifo. – – Ma chi era? – – E che ne so. Si chiama Giada. Perché tu non la conosci? Non l’hai organizzata tu la festa? – Non l’ho organizzata io. E comunque ormai dovresti saperlo che quando esci con me ogni volta è come la prima. Sempre persone nuove, posti nuovi, amici di amici, amiche di amiche. Vai a capire come ci è arrivata sul tram. – Ecco…il mio solito culo! – Sei un mito lo sai? – Un mito? Io mi sento più vicino a un testicolo che a un mito. – Quanto sei scemo! Stasera hai fatto morire dal ridere tutti. Ormai sei famoso, sei l’amico che mancava a questa combriccola di terroni. Eccomi qua. Il vostro clown a richiesta. Chiedetemi un sorriso e io ve lo regalerò. E mi raccomando, non chiedetevi mai cosa mi si agita dentro l’anima. Se è questo che volete da me, questo avrete.

24. GROSSO GRASSO A CHINATOWN

Alberto è stravaccato sulla sua morbida poltrona di pelle nera. Possiede un appartamento di 120 mq a Via Bramante, nel bel mezzo della Chinatown milanese. Una zona che oggi è diventata una merda, ma che in passato doveva essere abitata da ricchi borghesi. Ovviamente non potrebbe permettersi una casa così grande con il suo stipendio da assistente universitario con contratto a progetto. Tutto merito del padre, ricco medico ben visto nella Milano che conta. Tra i suoi clienti annovera calciatori, politici, attori, veline. 36 anni d’uomo rotolati in una poltrona che puzza di antichità. Con tre rotoloni di panza che gli sbucano da sotto la camicia, rolla una canna mentre la bella Margherita se lo mangia con gli occhi. Misteri della vita. Continua a frequentarlo e a scoparci, mentre quel povero Cristo del suo fidanzato continua la sua vita da studentello nella provincia torinese. Cazzo, che voglia di prendere il telefono e spifferargli tutto. Vorrei tanto vederlo entrare dalla porta e spaccare la faccia ad Alberto, così da togliergli quel ghigno saccente e presuntuoso che ha sulla bocca. Il fratello grasso di Joker mi sembra in certi momenti. Siamo a casa sua solo perché Margy ci ha costretti ad accettare un invito a cena con una serie infinita di lagne isteriche. Prova a farcelo piacere in tutti i modi, ma è uno sforzo inutile. Mentre aspettiamo la gommosa pizza di una nota catena milanese, Alberto ci delizia con perle di saggezza e canne chiuse alla cazzo di cane. – Non capisco voi ventenni e quasi trentenni che cazzo avete da lamentarvi? Tutti a dire che la vostra generazione è una generazione sfortunata. Ma cosa pensate che quelli della mia età si siano trovati tutto servito su un piatto d’argento? Anche noi abbiamo conosciuto la disoccupazione, il precariato e il crollo delle ideologie e delle sicurezze. Margherita sembra una bambina che guarda la cioccolata. Ha gli occhi a forma di cuore e la bava alla bocca. Claudio ha una mano sul cazzo e l’altra su un bracciolo del divano e sembra possa svenire dalla noia da un momento all’altro. – Alberto ma quanti anni hai? – forza Claudio! – 36. Perché? – Minchia, parli come uno di 50 anni. Guarda che tra la nostra generazione e la tua non è che ci sia una grossa differenza. Voi vi siete salvati giusto perché siete arrivati un attimo prima del crollo delle torri e di tutta la merda che ci siamo dovuti sorbire dopo. Ma non è che i tuoi coetanei se la passino benissimo…sai quanti trentacinquenni precari conosco? E poi scusa, tu non sei mica assunto? – No, ovviamente no. Il mondo dell’università funziona peggio di altri. Però non mi lamento e vado avanti. Invece di passare le giornate a ciondolarmi nella noia e nella depressione mi spacco il culo in facoltà. Claudio si rigira una forchetta tra le mani con nervosismo. Tra un po’ temo che possa alzarsi e conficcargliela negli occhi. Intanto Andrea si è isolato dal mondo e col pc portatile sulle gambe controlla quante richieste di scopata veloce gli sono arrivate nell’ultima ora. Guai a rimanere indietro col lavoro! – Quanto paghi di affitto per questa casa Alberto? – bam! colpito e affondato. – Non fare l’ironico. Lo sai che questa casa è mia… – E scommetto che l’hai comprata con i soldi che guadagni facendo l’assistente precario. Alberto ride. Sa di non essere ben visto da nessuno di noi e in particolar modo da Claudio. – Un modello brasiliano! Un modello brasiliano! Ci giriamo tutti verso Andrea. Con la faccia sconvolta ci svegliamo dalla noia e dalla pesantezza della conversazione e ci chiediamo cosa cazzo abbia da esultare così tanto. Sembra che abbia appena vinto lo scudetto o i mondiali. – Che c’è Andreuccio? – Margy si alza di scatto dal divano e si avvicina al pc per scoprire l’ultima preda di Andrea. L’ultimo parere prima dell’incontro scopereccio spetta sempre alla Regina Margherita, anche se a giudicare dal fratello dell’omino Michelin seduto sulla poltrona di fronte a me, non ne capisce poi tanto in fatto di uomini. – Guarda Margy, guarda che torello! Che muscoli! Domani sera mi ha invitato fuori per un aperitivo. A causa della sua forte miopia e del suo odio adolescenziale verso gli occhiali, Margherita è costretta ad attaccare la testa al pc per poter ammirare l’ultimo acquisto di Andrea. – Wow! Quasi quasi vengo pure io…è un figo da paura. Alby vieni a vedere come sono fatti gli addominali. Claudio e io ridiamo spudoratamente in faccia ad Alberto. Che goduria quando Margy lo prende per il culo in nostra presenza. Fa una fatica immane a nascondere il fastidio che prova. Fa dei sorrisini stentati e diventa rosso come se fosse un adolescente preso in giro dai compagni di classe. Margy e Andrea vengono rapiti dalla tartaruga di Tiago il modello brasiliano e ormai sarà difficile riaverli tra di noi prima di qualche ora. – Di cosa stavamo parlando? – non posso esimermi dal tirare di nuovo in ballo la discussione tra Alberto e Claudio. Godo come un matto quando si sfidano con le parole. – Di chi ha pagato questa casa…- Claudio si allunga verso Alberto per farsi passare la canna e intanto lo guarda dritto negli occhi. – E che palle Claudio…sempre a fare il moralista. Mio padre è ricco e mi ha comprato una casa e allora? Che devo fare? Venderla e donarla ai bambini del terzo mondo? – Non sarebbe una cattiva idea. – A te piace tanto fare la morale agli altri. Ma non mi sembra che tu sia un morto di fame. Sbaglio o tuo padre è uno degli industriali più ricchi della Sicilia? L’ho visto in tv qualche giorno fa. Sai, ti somiglia tanto… Claudio si toglie gli occhiali e li pulisce con la maglietta. Diventa sempre nervoso quando si parla del padre; si percepisce a distanza che il rapporto con la sua famiglia non deve essere tanto semplice. – E’ mio padre, abbiamo lo stesso sangue, grazie al cazzo che mi somiglia. Almeno fisicamente…perché caratterialmente non ho nulla a che vedere con lui. – E già…tu sei l’intellettualone di sinistra che a 30 anni gioca a fare l’alternativo fricchettone. Svegliati bello mio, gli anni 70 sono passati da un pezzo. Oggi bisogna essere più cinici e meno idealisti. E’ triste ma è così… Claudio ha il collo rosso e si gratta in continuazione. Sento che sta per sbottare. Tra due minuti si alza e gli molla un cazzotto in faccia. Qui c’è bisogno di un diversivo e per fortuna arriva una mano dal cielo, anzi dalla strada. Sentiamo urla cinesi, rumori di bottiglie di vetro spaccate sull’asfalto, donne in preda a crisi isteriche. Deve essere l’ennesima lite tra cinesini, ormai quasi all’ordine del giorno in questo quartiere. Ci affacciamo alla finestra per cercare di spiare e capire qualcosa. Tutti tranne il buon Andrea che è ormai rapito dallo schermo del pc e dai pettorali di Tiago. Ammesso che stia ancora chattando col famoso modello brasiliano. – Claudio, accompagnami giù. Andiamo a dare un’occhiata – – Diego ma sei pazzo? Non vi mettete in mezzo! Non fare il napoletano pettegolo come al solito. – Margy è piuttosto terrorizzata da quello che sta accadendo per strada e si stringe tremolante alla panza dell’omino Michelin. – Margy stai tranquilla. Ci teniamo a distanza. Dai Clà, andiamo! – Claudio non sembra particolarmente entusiasta dalla mia proposta, ma con un paio di occhiolini cerco di fargli capire che della lite tra cinesi non me ne frega un cazzo e che il mio intento è un altro. Entriamo in ascensore e guardo i suoi occhi arrossati dal sonno, dall’alcol e dal fumo. Sta pensando a chissà quante cose. Fa sempre così, spara sentenze e si incazza e alla fine si isola e si masturba il cervello per ore. Gli metto una mano sulla spalla e cerco di svegliarlo da questo sonno. – Ovviamente sai che non stiamo andando a far fare la pace ai cinesi? – Eh? – Sveglia! Che cazzo hai? Ma è possibile che ogni volta che parli con quel deficiente di Alberto te la prendi in questo modo? Lo sappiamo tutti che se poteste vi prendereste a cazzotti ogni volta che vi incontrate. E tu ogni volta cadi nella trappola. – Hai ragione…ma è più forte di me. Mi sta troppo sui coglioni. – Anche a me, ma lo lascio perdere. Non contraddico ogni suo respiro e ogni suo pensiero. – Ma con te è diverso… Siamo arrivati al piano terra, usciamo dal palazzo e sbirciamo intorno. Calma piatta. La lite tra cinesi deve essersi spostata qualche metro più in là o deve essere già finita. Ci sediamo sul marciapiede, lasciando il portone del palazzo socchiuso in caso di necessità. – Dicevi? Con me è diverso? – Sì, perché con te non si accanisce. Ogni volta non perde l’occasione per punzecchiarmi con sta storia di mio padre. – E che te ne fotte? Sinceramente non capisco perché te la prendi così. Dovresti essere solo orgoglioso di avere un padre straricco e di non approfittarne. – Forse non ti sei mai chiesto perché mi ostino così tanto a non volere aiuti dai miei… – si passa le mani tra i capelli scuri come la notte. Sembra stia per mettersi a piangere e urlare. – Ho sempre pensato che lo facessi per orgoglio, ma forse non è la sola ragione… Alza gli occhi al cielo e caccia fuori un po’ di aria dai polmoni. Come se si stesse preparando a tirar fuori un rospo di 10 chili. – E va bene…ormai ti conosco da tanto e ti considero il mio migliore amico. Resti tra noi però. Secondo te come ha fatto mio padre a diventare così ricco? Come pensi che abbia fatto in una terra povera e arretrata come la Sicilia a creare un’industria che fattura milioni e milioni di euro ogni anno? – Spero non si tratti di quello che sto pensando…anche se posso arrivarci facilmente… – Bravo…soldi sporchi arrivati da famiglie mafiose, amicizie con politici corrotti, fondi statali ed europei destinati ad altro, appalti truccati e tutta una bella serie di schifezze di questo genere. Mi maledico ogni giorno per essere suo figlio…mi fa schifo… Due lacrime gli solcano le guance. Si gira dall’altro lato perché è troppo orgoglioso per mostrarsi così davanti a me. Resto in silenzio per qualche minuto, triste e schifato dalla realtà che ci circonda. Gli passo una mano sulla testa e gli do uno schiaffetto sulla nuca. – Mi spiace tanto Claudio…sinceramente non mi sono mai posto il problema. Non mi ero mai chiesto da dove venissero i soldi di tuo padre. – Perché tu sei mio amico e a certe cose non ci pensi…ma secondo te perché Alberto mi punzecchia così tanto con questa storia? Sono convinto che in qualche modo sa e non parla solo per non far dispiacere Margy. – Fanculo Alberto! Tu devi pensare a te stesso, a quello che sei. Cazzo, sei una delle persone più oneste che io conosca. Ce ne fosse di gente con sani valori come i tuoi. Alza quella cazzo di testa e guardalo negli occhi con orgoglio e senza paura. Tu vali 1000 volte in più di quel coglione gonfio di lardo. – Lo so, lo so…ma quell’idiota mi fa uno strano effetto. – L’ho notato e non capisco perché. Non sarà mica il primo a punzecchiarti. Scommetto che in Sicilia ti sarà capitato altre volte. – Sì, mi è capitato spessissimo. Ed è anche per questo che sono fuggito a Milano…però sai è che…Alberto mi fa incazzare anche per un’altra ragione. – Sarebbe? – Non so se ho voglia di dirtelo. Stasera ci sono state già abbastanza confessioni. – Ok. Non ho fretta, quando avrai voglia di parlarne, io sono qui. Sentiamo le sirene di un’auto della polizia in lontananza. Deve essere arrivata una chiamata da qualche vicino terrorizzato dalle urla dei cinesi. Mi alzo in piedi e allungo una mano a Claudio. – Torniamo su dai. Può darsi che nel frattempo Alberto si sia addormentato dallo spavento.

23. FACEBOOK ERGO SUM

C’è una sola legge a cui credo fortemente di questi tempi: se non sei su Facebook non esisti.

Lo so, sono esagerato e categorico. Rispetto e capisco perfettamente quelli che odiano i social network o non provano alcun interesse verso l’argomento. Confesso di essere un Facebook addicted dichiarato e non ancora pentito. Passo ore e ore a fare inutili test, a cercare amici che non vedo dalle elementari, ragazze di cui ero segretamente innamorato al liceo o all’università e persone che ho conosciuto appena due giorni prima.

Ma da quando Clelia mi ha lasciato, sono stato capace di superare la sottile linea di separazione tra la dipendenza e la mania.

Ho cominciato ad aggiungere gente che non ho mai conosciuto!

Persone con interessi in comune, amiche di amici che hanno una bella foto nel profilo, gente iscritta agli stessi inutilissimi gruppi a cui sono iscritto io.

In questo enorme calderone di volti e nomi sconosciuti, c’è chi non accetta la tua amicizia (giustamente), chi ti aggiunge per gentilezza e curiosità ma dopo pochi giorni ti elimina dai contatti e chi ha un disperato bisogno di amicizia proprio come te e nel giro di poche ore fissa un appuntamento per passare dal virtuale al reale.

Giulia l’ho pescata in un gruppo di napoletani che vivono a Milano. Noi Pulcinella emigrati in Padania siamo come i cinesi. Facciamo comunità nel giro di poco, creiamo una fitta rete di relazioni sociali, commerciali e sentimentali e con un po’ di fortuna nel giro di pochi mesi ci troviamo una fidanzata napoletana nel letto e la mozzarella in casa tutti i giorni. Siamo provinciali e campanilisti anche quando fuggiamo via da Napoli.

E allora meglio sfruttare il fattore N. Quanti poveri napoletani con la nostalgia di casa ci sono a Milano? Uniamoci e proviamo a sentirci meno soli, usiamo la nostra malinconia come punto d’incontro per stringere nuove amicizie.

Giulia non è stata una di quelle che accettano le friend request alla cieca. Non tutti sono così perversi come me da dire di sì a ogni nuovo contatto. Lei ha voluto prima scoprire chi fossi e come mai le avessi mandato una richiesta d’amicizia.

GIULIA:  Chi sei?

DIEGO:  Song’ nu pazzo! Scherz. Ho trovato il tuo contatto sul gruppo dei napoletani a Milano. Più ne siamo meglio è, no?

GIULIA: Hai perfettamente ragione! Piacere di conoscerti.

Giulia ha 29 anni e lavora nel campo delle pubbliche relazioni. Anzi, lavorava. Dopo aver dato uno sguardo al mio profilo, guarda caso, si sofferma su un aspetto ormai non più rilevante della mia vita.

G.:  Ma sei un Copywriter?

D.: Lo ero…

G: Come lo eri?

D: Lunga storia…ho cambiato lavoro qualche mese fa, ma ho fatto una stronzata. Mi chiedi se sono un Copywriter? Sì, vorrei ancora esserlo. Ma al momento non lo sono e da buon napoletano scaramantico, preferisco far finta che non lo sarò mai più.

G: Mi spiace…cmq, te lo chiedo perché tra un po’ cambio lavoro.

D: E che lavoro vai a fare?

G: L’account in un’agenzia di pubblicità. Puoi dirmi cosa mi aspetta?

Un incubo! La pubblicità torna a bussare alla mia porta in tutti i modi. Con 10000 lavori esistenti a questo mondo, ti pareva che non andavo a beccare quella che lavora in un’agenzia e che per giunta fa anche l’account, che è il ruolo storicamente più detestato dai creativi. C’è poco da fare, quando è destino è destino.

Giulia è una valanga di parole e di buoni propositi. Basta fare un giro tra le sue foto, studiare i gruppi a cui è iscritta, gli artisti di cui è fan e ti rendi conto che questa ragazza è un vulcano in eruzione.

Da buona P.R. (anzi, ex P.R.), in 3 anni di vita milanese ha conosciuto tantissime persone e ogni sera ha sempre una serata particolare o un concerto da proporre ad amici e facebook conoscenti. E’ proprio quello di cui ho bisogno ora. Un vulcano che mi sputi lava addosso, che mi carichi la molla nei momenti in cui sono a terra, che mi faccia correre dall’eccitazione. Una che mi sappia far ridere ogni istante, con cui si possa parlare liberamente senza dover prima misurare la quantità e la qualità delle parole da usare. Una ragazza con cui sentirmi libero.

La mia tenacia nella ricerca di contatti tra facebook e le chat è stata finalmente premiata. Ho finalmente trovato una persona degna di essere conosciuta e scoperta volta dopo volta, un’amica che in 5 minuti riesce a svoltarti una serata o una giornata storta.

Giulia è il pepe che mancava in questo momento insipido e incolore.

Ma Facebook è come la vita. Facebook dà, Facebook toglie.

Nello stesso momento in cui, tramite il tanto discusso social network riuscivo ad allargare il giro delle mie conoscenze, scoprivo qualcosa che non avevo nessuna voglia di scoprire.

Guai a far lavorare troppo la mente quando si ha a disposizione un mezzo così potente tra le mani. Basta fare un paio di collegamenti, incrociare un paio di contatti e la frittata è fatta: scopri quegli altarini che sarebbe stato meglio non svelare mai.

E’ attraverso facebook che ho scoperto la verità sulla fine della mia relazione con Clelia.

Dopo un paio di mesi dalla fine della nostra storia, ero curioso di sapere se per caso stesse frequentando qualcun altro.

Le foto su facebook in cui appariva truccata e curata come non mai, mi facevano sospettare che qualche altro ragazzo fosse già entrato nella sua vita o che lei fosse alla ricerca di un compagno. E poi la conosco troppo bene per immaginarmela sola per troppo tempo.

Mi è bastato fare un paio di domande al marito di sua sorella per scoprire il nome della persona che stava frequentando, da lì alla scoperta della cruda realtà il passo è brevissimo.

Digito il nome di questa persona e scopro che abbiamo un’amica in comune. Spulcio per bene il profilo di quest’amichetta in comune e tra le 1000 foto scopro una foto in cui c’è anche il famigerato individuo che ha preso il mio posto nella vita di Clelia.

Dal link dell’album in cui si trova la foto, finisco su un album di foto di questo stronzo. Come posso chiamarlo altrimenti?

Vedo la sua faccia sorridente, da tipico chi attillo napoletano (l’equivalente del fighettino milanese e del pariolino romano) e foto dopo foto ecco arrivare Clelia sorridente accanto a lui in una foto del 16 gennaio.

Scorro la pagina per vedere se c’è qualche commento e scopro un commento di Clelia:

Grazie per non avermi taggato. Sei stato di parola!

Ma che brava! Dopo neanche una settimana dalla fine della nostra storia già uscivi con un altro. Cerco vanamente di non andare avanti con la fantasia. Ma purtroppo ho già capito tutto. Hai cominciato a frequentare questa persona subito dopo avermi lasciato e per non farmi star male hai cercato di non lasciare tracce in giro. Come se nel 2009, nell’era di facebook e della tag selvaggia, ci volesse tanto a scoprire certe cose.

Un dubbio atroce mi passa per la testa.

Continuo a scorrere le foto ed eccovi di nuovo insieme, questa volta in un gruppo di altre persone. La data è il 2 gennaio. Ma il 2 gennaio stavi ancora con me! A questo punto tutto cambia. Cambia l’idea che avevo di te, l’immagine dolce e di donna matura che mi ero costruito. In un attimo sei riuscita a cancellare i ricordi di due anni e mezzo d’amore. Pensando a te non penserò mai più agli attimi di dolcezza vissuti insieme, ai nostri segreti, ai nostri sogni durati troppo poco.

Da adesso in poi pensando a te riuscirò solo a ricordarmi questo: mi hai lasciato quando il primo idiota fighettino del cazzo ha cominciato a farti la corte. Mi hai lasciato non appena hai trovato il modo per rimpiazzarmi e non hai avuto neanche il coraggio di dirmi come stavano le cose.

Piango di fronte al pc e sento lo stomaco contorcersi dalla rabbia. Non ho mai provato tanto odio in vita mia e mi maledico per aver trascorso tutto quel tempo accanto a te.

Ti ho amato fino a sognare di metter su famiglia con te, ma da oggi in poi per me sei morta. Perché uccidere il tuo ricordo è il modo più semplice per liberarmi definitivamente dell’amore che ti ho dato.

22. MILANO- TORINO- MILANO- NAPOLI

Sono in viaggio verso Torino.

Mi sono svegliato alle 8 di mattina dopo un venerdì di bevute terminato all’alba. Non so nemmeno cosa ci faccio su questo cazzo di treno. A cosa serve continuare a farsi del male così? Mi sono ripromesso che questa è l’ultima volta. La nostra ultima chance. La tua last chance Martina.

Se anche stavolta non mostrerai nessun segno di interesse nei miei confronti, allora alzerò bandiera bianca una volta per tutte.

Non puoi continuarmi a illudere così. Non me lo merito. Non è giusto prendere per il culo una persona che per così tanto tempo è stata perdutamente innamorata di te.

Guardo fuori dal finestrino e penso che sarebbe bello se stavolta le cose andassero per il verso giusto.

Perché non può accadere un piccolo miracolo? Perché non arriva una benedetta scossa a cambiare la situazione in cui mi trovo?

Non vuoi essere tu la mia rivoluzione Martina?

Sto cercando disperatamente una risposta a questo momento. Sto impazzendo tentando di dare un senso a quello che mi è successo e voglio disperatamente credere al destino. Voglio pensare che non sia accaduto nulla per caso e che se c’era una lezione di vita da imparare io possa impararla in fretta.

Ma chi voglio prendere in giro?

Hai solo 20 anni e un mucchio di problemi per la testa. Probabilmente non sai neanche badare a te stessa e non hai idea di come superare certi ostacoli. Ma si può sempre darsi una mano a vicenda. E’ una vita che ti cerco e ti aspetto e ora sono stanco di aspettare.

 

Scendo dal treno e come al solito il cuore va per i fatti suoi. Potremmo ripetere la scena altre mille volte, non cambierebbe nulla. Indossi un basco grigio e un cappottino blu, hai sulla bocca del rossetto o del lucidalabbra alla frutta. Sono labbra fatte per essere baciate quelle, labbra che non aspettano altro.

–         Benvenuto a Torino!

–         Grazie tesoro. E’ da molto che aspetti? Il treno ha fatto un po’ di ritardo. – ti abbraccio cercando di rubare il tuo odore.

–         No, sono appena arrivata.

–         Dove mi porti di bello?

–         C’è una mostra sull’antico Egitto alla reggia di Venaria. Ti va?

Mi va? Ma ancora non l’hai capito che a me interessa poco di quello che facciamo e di dove siamo. Puoi portarmi anche a una mostra sulla storia dello stuzzicadenti dalla Mesopotamia ai giorni nostri. Accanto a te diventerebbe interessante anche una cosa del genere. Mi basta starti accanto, respirarti e guardarti. Mi basti tu.

–         Perfetto. Andiamo alla mostra  e poi facciamo un giro per Torino?

–         Sì, tanto prima di stasera non scappi giusto?

–         E chi scappa?

–         Però potevi restare a dormire da me. Così uscivi con me e i miei amici stasera e domani facevamo un altro giro con calma.

Dormire di nuovo accanto a te? Mi vuoi così male da volermi concedere il bis della nottata post concerto? No, grazie.

–         Hai ragione, ma domani ho degli impegni a Milano. Sarà per la prossima volta.

 

Giriamo tra teste mozzate di faraoni, utensili e monetine ritrovate in qualche posto lontano. Giriamo tra secoli di storia e cultura. Quante vite ci sono negli oggetti raccolti in un museo? Quante mani hanno lavorato la pietra, quante famiglie hanno usato gli utensili nella vita di tutti i giorni?

Riesci ad appassionarti per qualsiasi cosa e a trovare il bello ovunque. Poche ragazze riescono a interessarsi di medicina, scienza, arte, letteratura, storia con lo stesso entusiasmo che hai tu. Starti accanto e sentirti parlare è respirare vita, fare un giro infinito in tutta la bellezza che c’è nel mondo.

Mi metti voglia di vivere, di cambiare, di riscoprirmi. Se solo non fossi così follemente attratto da te potresti essere la mia migliore amica. Ma non mi basta, non mi potrà mai bastare.

E ancora non ho capito se questo lo sai o fai finta di non saperlo.

Passeggiamo nel parco della reggia, in una giornata tipicamente primaverile.

–         Sai, dopo aver trascorso gli anni delle mia adolescenza a desiderare di morire e a farmi del male da sola, sono dovuta ripartire dalle piccole cose per riprendermi la vita. Passeggiare in un parco, chiacchierare con un vecchio amico, andare a una mostra. Oggi sento dentro una voglia di vivere che mai avrei immaginato…

–         E’ così bello sentirti dire certe cose. A volte cerco di farmi coraggio e di pensarla come te. Se solo avessi qualche anno in meno, sarebbe tutto diverso.

–         Ma perché? Non sei mica vecchio?

–         No, ovvio che non sono vecchio. Ma sai, è strano ma a 27 anni vedi le cose in modo molto diverso da come le vedi a 20. Anche io quando avevo la tua età stavo messo male, ero incazzato con il mondo e mi faceva schifo qualsiasi cosa. Ma avevo la speranza a mandarmi avanti, la forza dei sogni. Oggi faccio davvero fatica a sognare. Non ci riesco più.

–         Secondo me tu sei capace perfettamente di sognare. E’ solo che non vuoi vedere le infinite possibilità che hai di fronte a te.

 

In questo momento ne vedo solo una di possibilità. E sei tu. Sei la mia unica possibilità, l’unica ancora di salvezza e so che non è giusto. Ti sto usando ancora una volta e inutilmente. Non posso aspettarmi nulla da te, tantomeno la redenzione dai miei errori e dalla mia immaturità. Hai 20 anni e riesci a farmi lezioni sulla vita e a dirmi parole di una saggezza incredibile. Hai 20 anni e sembri averne capito più di me di questo mondo. Le differenze si annullano, si capovolgono e si aprono nuovi scenari.

–         Hai ragione, ci sono cose che non posso fare a meno di sognare. Cose che sogno da una vita, eppure non si realizzano mai. E allora mi chiedo se forse non è meglio accontentarsi, fare come tutte quelle persone che non si pongono tante domande e vanno avanti felici e sereni. Non vorresti essere anche tu come loro Martina?

–         Non puoi desiderare di essere quello che non sarai mai. Sei fatto così. Sei uno stupido sognatore e allora? Che c’è di male? Sognare non costa nulla. E poi la banalità e la normalità sono così noiose. Non è meglio essere come noi? Essere dei diversi? Abbiamo un dono non trovi?

 

E allora perché sento questo dolore dentro quando ti guardo? Perché mi si contorce lo stomaco all’idea che tra qualche ora ti saluterò e sparirai per chissà quanti giorni o settimane?

Vorrei dirti che non ce la faccio a starti accanto così, che sto male se non posso averti. Ma in fondo farei solo l’ennesimo errore e mi sbatterei in faccia un’altra porta.

Ti sogno da anni, ma abbiamo appena cominciato a conoscerci sul serio. E’ la prima volta che mi apri il tuo cuore, che mi dici cosa ne pensi di me e com’è il tuo modo di vedere la vita.

Tabula rasa.

Abbiamo appena cominciato ad avvicinarci, non posso pretendere che tu sia innamorata di me o che voglia passare di già dall’amicizia ad altro.

Ho bisogno di calma. Devo lasciare che le cose vadano avanti così, aspettare con pazienza un altro incontro e poi un altro ancora. Nulla mi vieta di sperare e di credere al miracolo. Forse è solo questione di tempo e in questo momento non voglio e non devo correre.

Passeggiamo tra le strade della tua città.

Ti ho immaginato tante volte sotto quel cielo grigio, in una città che ha la fama di essere triste e spettrale. Ti immaginavo alle prese con i tuoi problemi e le tue paure e mi chiedevo come trascorressi le tue giornate.

Chissà come è entrato l’amore nella tua vita?

Vorrei sapere di più sulle tue storie, sapere se i ragazzi con cui sei stata ti hanno amata davvero come meriteresti.

So che è inutile chiederti certi particolari. Su certi argomenti sei muta come un pesce. Preferisci parlare d’altro. Di quello che ami leggere, di quello che ti piace fare nel tempo libero o quando esci con gli amici.

Hai difficoltà a capire i sentimenti e ad esprimerli. Lo vedo e lo sento ogni volta che ci incontriamo.

Come posso fare per farti sciogliere? Se esiste una parolina magica per entrare dentro di te dimmela. Dimmi se esiste un modo per farti abbassare la guardia, per capire cosa ti passa per la testa e cosa senti.

Siamo sulla riva del Po. Guardiamo il lento scorrere dell’acqua, rilassante e ipnotico. Oggi Torino è davvero bella, molto più di come la ricordassi.

E’ diversa da Milano. Riesce a mantenere ancora un sapore di antico, una faccia tranquilla e serena. Non si respirano la fretta e l’ansia tipiche di Milano.

–         Allora, cosa hai deciso di fare con il lavoro?

–         Sto cercando di rientrare nel mondo della pubblicità. E se non ci riesco, vorrei fare quanto meno un lavoro che abbia un minimo a che fare con quello che ho studiato e fatto nella mia vita.

–         E’ giusto. Come ti è saltato in mente di voler fare un lavoro in cui avevi a che fare ogni giorno con numeri, fatture e roba simile? Come se non ti conoscessi…

–         E infatti non mi conosco Martina. E’ in questo periodo che sto cominciando a capire veramente chi sono e cosa voglio. E’ quando tocchi il fondo e perdi tutto ciò che avevi che ti rendi conto di chi sei e apri finalmente gli occhi.

–         Ma non hai mai pensato di metterti a scrivere? So che te la cavi abbastanza bene. Ho letto le tue poesie sul tuo blog un po’ di tempo fa.

–         Peccato che in Italia ci campino sì e no in dieci con la scrittura. Purtroppo non è un lavoro fare lo scrittore. Lo è solo per pochi eletti fortunati e dotati di grande talento. E comunque non credere che non ci abbia mai pensato.

 

Ci ho pensato eccome.

Tre anni prima avevo scritto un romanzo di formazione in cui la protagonista femminile aveva le sembianze e il carattere di Martina. La sua figura mi aveva così tanto impressionato e ammaliato da accendermi dentro un fuoco.

E così mi misi a scrivere. Scrivevo ogni notte prima di andare a dormire. Scrivevo e immaginavo Martina alle prese con i suoi dolori, l’incontro con il primo amore, la rinascita e la voglia di tornare a vivere sul serio.

Scrissi 200 pagine in 3 mesi.

Quel libro è rimasto in un cassetto. Non ho mai avuto il coraggio di spedirlo in giro, perché non ho mai pensato di avere un vero talento per la scrittura. E poi temevo troppo il rifiuto, l’idea di sentirsi dire di no da ogni casa editrice.

Ma soprattutto non volevo che Martina lo leggesse.

Ora mi chiedi se abbia mai pensato di mettermi a scrivere. Cosa dovrei risponderti? Dovrei dirti che ho bisogno di un calcio nello stomaco pari a quello che mi hai dato tu tre anni fa?

–         E allora perché non scrivi? Anche solo per il gusto di farlo. Se poi riesci a pubblicare e a vendere, tanto di guadagnato.

–         Dovrei farlo…ci penso sempre, ogni giorno…sto solo cercando l’ispirazione e forse l’ho appena trovata.

Ti guardo negli occhi e sorrido. Rivedo le tue guance rosse e so che hai capito di cosa sto parlando. Sai che per me sei la più grande ispirazione e che se c’è qualcuno in grado di accendermi dentro emozioni tanto forti da doverle sfogare su carta, quella sei tu.

Torniamo verso la stazione e mi sento fiero di me. Non ho cercato di baciarti e ho evitato di saltarti addosso. Mi sono goduto una giornata di riflessioni e amicizia e mi basta questo. So di volerti, ancor più di prima. Ma so che non posso averti, non ora, non così. Oggi abbiamo fatto un altro passo in avanti, ci siamo donati un altro pezzo della nostra anima.

Sarai mia Martina. Deve essere così.

 

Mentre sono sul treno per Milano provo la solita tristezza e il senso di vuoto che ho ogni volta che ti saluto. Mi chiedo quando sarà la prossima volta che ti rivedrò. Con te è tutto sempre imprevedibile. Potresti riapparire tra due giorni, una settimana, un mese o sparire del tutto.

Squilla il cellulare. E’ Davide, un amico storico che conosco dai tempi del liceo. Davide vive a Milano da pochi mesi, ha trovato lavoro in una società informatica dopo aver vagato inutilmente per le aziende napoletane per due anni.

–         Dove cazzo sei?

–         Ciao Davide! Sono in treno, sono stato a Torino.

–         A Torino?

–         Sì, sono andato a trovare un’amica.

–         Non mi dire…Martina?

–         Sì, lei…

–         Martina la ex di tua cugina? Quella mezza pazza che ha tentato il suicidio e soffriva di anoressia?

–         Proprio lei coglione.

–         Te l’ha data?

–         Stai zitto idiota. E’ una lunga storia.

–         Ho capito, ho capito. Ti conosco troppo bene. Chiamami appena sei in stazione a Milano, andiamo a bere qualcosa e mi racconti.

Temo fortemente il suo giudizio. Davide mi conosce troppo bene per non rinfacciarmi la mia passione per Martina e per non farmi notare alcune coincidenze ricorrenti nella mia vita. So già cosa mi dirà e non ho nessuna voglia di sentirlo.

 

Scendo dal treno, dopo due ore infinite di viaggio passate a masturbarmi il cervello con canzoni sentimentali sparate a mille dal lettore mp3.

Davide mi aspetta alle Colonne di San Lorenzo. Due passi, una birra e tante chiacchiere per ricordare il passato, analizzare il presente e distruggere il futuro. Ho paura!

–         Allora? Che cazzo sei andato a fare a Torino? Ma almeno un bacio te l’ha dato?

–         Magari…

–         Noooo! Ma non ci perdere tempo. Tanto non ne vale la pena.

Un Euro per ogni persona che mi ha detto questa frase negli ultimi mesi e a quest’ora sarei ricco e avrei risolto il problema lavoro.

–         Lo so che non ne vale la pena. Però…sai come sono fatto. Mi conosci da una vita.

–         Sì, ma non hai più 16 anni. All’epoca te le concedevo certe cose. Ora basta, non puoi continuare così.

–         Ma non ci posso fare niente. Per quanto sappia che forse mi sta solo prendendo in giro e che difficilmente ci sarà qualcosa tra di noi, ho desiderato troppo passare del tempo con lei per non sfruttare la breve distanza che ci separa ora. E poi siamo entrambi single da poco…

–         E allora? E’ anche peggio di quel che sembra. Guarda caso, ti ha contattato proprio dopo che il ragazzo l’ha mollata. Strana coincidenza non trovi?

–         Che vuoi dire? – faccio il finto tonto ma so benissimo a cosa si riferisce. Il pensiero ha sfiorato la mia mente sin dal primo momento.

–         Voglio dire che sai meglio di me come sono fatte le donne. In certi momenti hanno bisogno di sentirsi corteggiate. E guarda caso, lei ha chiamato proprio te.

–         Già…lo stupido cagnolino obbediente sempre pronto a correre da lei e a riempirla di complimenti.

–         Esatto. E ti devo rinfrescare la memoria?

–         No! Ti prego, non tirare fuori la storia di Elena. Per me quella è preistoria.

–         Sarà pure preistoria, ma le coincidenze sono inquietanti. Cazzo, non puoi perdere la testa per ogni ragazza problematica che incontri. Hai buttato gli anni migliori per star dietro a Ele. E guarda caso, anche lei era anoressica e con il cervello schizzato. Ma ti piacciono così tanto le malate di mente?

–         Non sono malate di mente…non più di quanto non lo sia io. Sono semplicemente diverse, fuori dal comune. E a me la normalità sta sul cazzo, da sempre. Ora più che mai lo capisco. Non voglio la banalità, voglio la follia e l’originalità nella mia vita e se questo significa avere a che fare con ragazze come Martina, Amen!

–         Bah…ma Clelia com’era? Io non l’ho mai conosciuta.

–         Anche lei aveva le sue belle scimmiette in testa…però nulla a che vedere con Elena e Martina. Tra le varie pazze che ci sono state nella mia vita, era la pazza più normale.

–         Ma perché a noi due non è andata come ad alcuni dei nostri amici di classe? Fidanzati dai tempi del liceo e ora a distanza di 10 anni stanno quasi per sposarsi. Beati loro!

–         E che palle! La tipica mentalità napoletana. Il matrimonio come fine ultimo della vita. Ma tu davvero li invidi? Cazzo, non hanno mai avuto modo di vedere cosa c’è fuori dalle loro quattro stupide mura. Non si sono mai chiesti se è davvero la migliore delle situazioni possibili quella in cui si trovano intrappolati da 10 anni. Io non voglio accontentarmi, non lo farò mai!

Non è possibile che esista ancora questo modo di ragionare. E’un virus radicato nell’anima dei napoletani da cui è quasi impossibile liberarsi. Unico obiettivo: un rapido matrimonio. Quanta gente ho visto rovinarsi con questa fissazione. Coppie di ventenni sposarsi dopo 3 anni di fidanzamento, venticinquenni appena laureati che si sono accasati ancor prima di trovare lavoro, gente che per una vita intera è stata con la stessa persona accanto, stando male e restando in silenzio. Anche io sogno un matrimonio e ho gli incubi all’idea di restare da solo. Ma non ci si può sposare per legge e perché lo fanno tutti. Ci si sposa quando è il momento giusto per farlo e con una persona che si ama alla follia, non con la prima che si è mostrata disponibile. Ancora oggi, nel 2009, devo sentire mia madre che mi consiglia ipotetiche fidanzate solo perché sono brave ragazze. Ma ci si può fidanzare con una donna solo perché è una brava ragazza e sai che non ti romperà mai le scatole per nulla?

 

Davide ride e nonostante sia abituato da secoli alla mia filosofia di vita, ancora non se ne fa una ragione.

–         Bravo, non ti accontentare! Intanto loro hanno la ragazza, sono sereni e progettano un futuro.

–         Non me ne frega un cazzo del futuro Davide…non se prima non posso godermi il presente. Potrei morire domani o impiccarmi dopodomani. Voglio vivere ora!

 

Questo sono io.

Questo sono io.

28 anni da festeggiare in solitudine, tra lenzuola vuote e in disordine. Lenzuola che nessuno accarezza, da quasi un anno.

Questo sono io.

Sangue e lacrime, rabbia e pianto.

Scelte sbagliate, strade deviate, percorsi a ostacoli senza alcun punto di arrivo.

Questo sono io.

Il risultato di chi mi ha condizionato la vita, con la sua pochezza, la sua violenza, la sua mancanza di rispetto per l’infanzia…e oggi le conseguenze si vedono tutte, come cicatrici indelebili sull’anima.

Questo sono io.

Una famiglia allo sbando. Una madre con cui non parlo, un padre che mi ha suggerito la strada sbagliata. E il resto che è solo casino, paura e incertezza.

Questo sono io.

Una ragazza che mi illude da anni, senza chiarezza, senza pietà, senza dare nulla indietro per quest’amore che non ha senso e mai ce l’avrà.

Questo sono io.

Donne che attraversano la mia vita come fantasmi. Qualcuna mi sfiora appena, qualcuna vorrebbe entrare nel mio mondo. Ma alla fine nessuna riesce a farlo.

Questo sono io.

Amici che sanno solo dare consigli inutili e riempirti di serate tutte identiche tra loro. E dopo il 4 cocktail torni a casa con lo stomaco pesante e il cuore più vuoto di prima.

Questo sono io.

Un presente che non c’è. In un mondo in cui i miei coetanei cercano di preoccuparsi per il futuro, io lotto con le unghie e con i denti per avere almeno un cazzo di presente.

Questo sono io.

E tanto altro ancora…fuoco nelle vene, rabbia senza voce, guardare ma non toccare, giocare ma senza ridere, lottare senza vincere mai.

Questo sono io, oggi…

Auguri Peter Pan.

21. L’ALLIEVO E MARGHERITA

– Ero dentro di lei bambolina, mi stavo finalmente sfogando dalle frustrazioni accumulate in questi ultimi mesi e all’improvviso mi sono venute in mente loro.

– Loro chi? – a volte Margy perde colpi.

– Secondo te chi? Le mie nonne? Clelia e Martina!

– Wow…sei messo maluccio eh? Pensi a loro mentre fai sesso con un’altra. Ma almeno ti piaceva la tipa?

– A dire il vero no…

– E che ci sei uscito a fare allora?

– Devo pur cominciare da qualche parte. Lei è la prima ragazza che si sia dimostrata disponibile da quando Clelia mi ha lasciato.

– Si, ma non mi sembra che tu sia messo così male da doverti ficcare nel letto della prima che capita.

– Ma ne avevo bisogno Margy…dovevo distrarmi da tutto quello che mi sta capitando. Non ne posso più. Sabrina almeno mi ha fatto sentire desiderato.

– Ma la vuoi smettere di pensare che non puoi vivre senza una donna accanto?

– La fate tutti facile. Ma tu stai contemporaneamente con 2 ragazzi, Claudio salta da un letto all’altro e Andrea…beh, di lui è persino inutile parlarne.

– Ma perché ti devi sempre paragonare agli altri? Ok, io sono una stronza! Claudio sta attraversando una fase che mi auguro che prima o poi possa passare e Andrea non conoscerà mai quello che tu hai avuto la fortuna di conoscere più di una volta. Sto parlando dell’amore.

– Bella fortuna che ho! Guarda come mi ha ridotto l’amore. Sono così preso dal ricordo della mia ex e dall’inutile desiderio di Martina che non riesco neanche a godermi una sana scopata.

– E allora? Che problema c’è? Sei unico. Sai quante ragazze ci sono lì fuori che sognano di stare con un idealista come te? Sei uno che non si accontenta, che sogna ancora il grande amore.

– Ma io sono stanco di essere così. Non voglio più sognare, non voglio più star male per amore.

– Senti, ma perché non chiami Martina? Non vi siete più sentiti dalla sera del concerto?

– Solo qualche messaggino.

– E che aspetti? Invitala a Milano. O vai da lei a Torino. E stavolta stai sereno. Rilassati e chiacchierate come due vecchi amici. Non prenderle le mani, non provarci. Vedrai che probabilmente sarà lei a crollare e a cercarti.

– E’ anche per questo che sto evitando di starle troppo dietro. Voglio che non mi dia troppo per scontato. Voglio che capisca che non starò ad aspettarla per sempre.

– Fai bene, falla friggere un po’. Però non esagerare, se hai voglia di vederla diglielo.

Questa sera, per cambiare, siamo andati in un altro locale. Uno di quei posti dove alla fine dell’happy hour ci si sposta in un’altra sala e si balla. Margherita muove il culo a ritmo di musica elettronica. Ha un corpo da favola. Seni piccoli ma ben fatti, gambe tornite e lunghe. Balla e vedo decine e decine di occhi posarsi su di lei. Le piace piacere. Sa di poter avere gli uomini ai suoi piedi e gode terribilmente quando si sente al centro dell’attenzione. Quando è venuta a vivere a casa nostra è stata dura non perdere la testa per lei. Per fortuna c’era già Clelia, altrimenti sarei stato l’ennesima vittima della sua straordinaria bellezza.

20. UN GIRO AL MERCATO

E allora proviamo a imitare Andrea fino in fondo.
Se un gay riesce a trovare tanto divertimento nelle chat, chissà che non possa capitare anche a un etero disperato come me.
Mi iscrivo a tutti i siti gratuiti di incontri, compilo svogliatamente il mio profilo senza espormi troppo e carico un paio di foto in cui la mia faccia non abbia la solita espressione da idiota tossicodipendente. Proviamo a fare un giro in questo mercato del sesso e vediamo come funziona.
Nei siti di incontri esistono anche i motori di ricerca.
Seleziono l’età: dai 18 ai 35 (tutto fa brodo e in questo momento tra una diciottenne con gli ormoni impazziti e una trentacinquenne allupata non saprei scegliere).
Seleziono solo i profili della città di Milano e lascio perdere tutte le altre opzioni. Bionda, mora, rossa, atea, single, fidanzata, bisex, cattolica, pudica, troia. Va bene tutto. Non ho pretese in questo periodo della mia vita. Per una volta voglio lasciarmi andare senza chiedere troppo all’altro sesso.
Mi contatta una certa Sabrina.
Sfoglio velocemente la sua scheda. Ha 34 anni, vive a Milano e fa la segretaria in uno studio di avvocati. Dalle cazzate che scrive non mi sembra particolarmente colta e a giudicare dalle foto neanche particolarmente bella.
Ma sembra una di quelle che ci stanno subito e che non fanno tanti giri di parole.
Sei carinissimo!
Chi io?
Sì tu. Allora, quando mi porti fuori per un aperitivo?
Quando vuoi. Tanto al momento di tempo libero ne ho parecchio.
Lunedì sera ci sei?
Certo. Lunedì sera alle 20 a Piazza Wagner?
Perfetto! Mettiti la camicia mi raccomando.
Perché, le t-shirt ti fanno schifo?
No. Ma gli uomini in camicia sono un’altra cosa.
Se ti accontenti di così poco mi metto pure la cravatta.
Ahah. No dai, non esageriamo. Va bene la camicia.
Zì badrona.

Lunedì sera. Arrivo con netto anticipo come al solito. Sono l’unico napoletano vivente che arriva puntuale agli appuntamenti. Cammino nervosamente fuori la metro di Piazza Wagner. Non ho motivo di essere agitato. Non mi aspetto nulla da questo appuntamento e poi Sabrina non mi fa particolarmente impazzire.
A dire il vero non mi piace neanche, ma ho bisogno di distrarmi e di fare esperienza. Devo imparare nuovamente a muovermi con le donne, a corteggiarle, a farle ridere. E in questo momento una trentaquattrenne zitella che non aspetta altro che essere corteggiata è la cavia ideale.
Arriva con un quarto d’ora di ritardo. Era prevedibile che si facesse aspettare.

Ciao Diego! Complimenti per la camicia.

Hai visto? Sono di parola. E per l’occasione l’ho persino stirata. Cioè, in realtà l’ho fatta stirare alla lavanderia cinese sotto casa.

Ahahahah! Che simpatico che sei! Mi fai morire!

No, no, non voglio avere cadaveri sulla coscienza.

Che scemo! Comunque complimenti, dal vivo sei ancora più carino.

Grazie. Anche tu…

Che bello mentire ogni tanto. Sabrina non è per niente carina. Ha la pelle segnata dall’età e per me che adoro la pelle liscia, bianca e delicata da ragazzina è dura guardarla negli occhi.
Ci sediamo in uno dei bar fighettini della zona. Sabrina indossa una minigonna di pelle e le calze a rete, una camicia bianca scollata che mette in bella mostra un seno pompato a regola d’arte dal push up. Ha un rossetto di un colore improbabile sulle labbra. Uno di quei rossetti tamarri che indossano le ragazzine dei quartieri di Napoli.
Sembra un mix tra un aborto di Anna Tatangelo, una cantante neomelodica e un trans.
Che cazzo ci faccio qui?

Allora? Raccontami qualcosa di te Diego, in chat sembravi così riservato.

Non sono riservato, è che in questo periodo non c’è molto da dire.Attualmente non lavoro e passo le giornate a mandare curriculum. Ho lavorato per un anno e mezzo in pubblicità e mi piacerebbe tornare nell’ambiente. Sono single da poco e non ho nessuna voglia di accasarmi di nuovo.

Fai bene, non c’è fretta. Io ho 34 anni e sento di avere tutto il tempo davanti.

E chi vuoi che ti creda tesoro? Si vede lontano un miglio che sei disperata. Sei qui a bere birra con uno che sembra il tuo fratellino minore solo perché nessuno ti vuole.

–    E come fai a mantenerti a Milano senza lavorare?
–    Mi nutro di sogni.
–    Dai, sul serio…
–    Rubo i soldi di mio padre. Lo so, sono una merda.
–    Beh, se puoi permettertelo, per qualche mese si può fare…
–    Ecco appunto, per qualche mese…peccato che i mesi stiano volando via e il mio tempo stia per scadere. Il call center mi aspetta.

Passo la serata a fare battute di una stupidità imbarazzante che per qualche strano motivo la fanno morire dal ridere. E’ più stupida di quanto credessi. Sono quasi tentato dal mollarla qui e tornarmene a casa a piangere ascoltando canzoni d’amore.
Ma Sabrina è rapida, affamata e diretta. Non ti lascia il tempo di pensare e avere dubbi.

Senti…se ti va possiamo andare da me a vedere un film. Abito in zona e vivo da sola…

Finisco di bere il mio Daiquiri Frozen e intanto mi faccio mille seghe mentali in dieci secondi e rispondo con la prima cosa che mi viene in mente.

Molto volentieri. Tanto domani IO non devo lavorare.

Io sì. Ma stasera faccio volentieri tardi.

San Gennaro aiutami tu! Sono finito nelle mani di una ninfomane di 34 anni. So già che finirà male.
Saliamo a casa sua. Un minuscolo monolocale ordinatissimo e ben curato. La ragazza ha gusto, almeno in fatto di arredamento.
Apre un cassetto e tira fuori una ventina di dvd.

– Original sin? Che ne dici?

Dico che sei una porca.

– Quello in cui la Jolie si fa scopare per due ore da Banderas? Ottima scelta, però poi non ti spaventare se mi eccito.

– Buono a sapersi allora. Lo metto subito.

Il film parte, con le labbrone di Angelina che occupano mezzo schermo e lo sguardo da depravato di Banderas che fa riscaldare la già affamata Sabrina.
Dopo venti minuti di silenzio, in cui fingiamo di essere interessati a quel cazzo di film, Sabrina si avvicina e si stende con la testa sulle mie gambe.
Mi guarda e sorride con malizia. Sento i pantaloni gonfiarsi leggermente, quel poco che basta per far capire che ho apprezzato il gesto. Allunga la mano e comincia a toccarmi in mezzo alle gambe, va su e giù con quella mano rugosa. Vedo le sue unghie rosso fuoco graffiarmi la zip dei jeans.
So già dove poterà tutto questo.
Tira giù la zip e mi abbassa i pantaloni. Sfila via i boxer e giocherella con il mio amichetto. Se lo passa tra le mani e lo graffia con quelle schifosissime unghie.
Chissà come ho raggiunto una discreta erezione. Di solito con una donna di fronte che non mi piace per niente non mi eccito neanche di mezzo millimetro. Non sono di quelli che basta che respirano e ci faccio qualsiasi cosa. Sono un viziato, un esigente. Voglio classe e dolcezza, stile e sensualità raffinata.
Sabrina si fa scivolare il mio cazzo tra le labbra e quando stacca la bocca vedo i segni del suo rossetto orrendo un po’ ovunque.
La lascio fare per un po’, vedendo dove vuole arrivare.
Dopo qualche minuto di su e giù con la bocca, si siede sulle mie gambe e mi sbottona la camicia che ha tanto voluto.
Con quelle maledette unghie si diverte a farmi piccoli graffi sul petto e sull’addome. Poi si riabbassa e continua a giocherellare con la bocca.
E’ il momento di tirare fuori le palle, di prendere l’iniziativa e di far vedere chi è che comanda.
La spoglio con foga e la faccio mettere a quattro zampe. Ora sfogherò su di te quattro mesi di astinenza e solitudine. Voglio diventare proprio come Claudio. Niente passione, niente domande, niente sentimento. Solo sesso in quantità.
Ti entro dentro con rabbia, godendomi le tue urla fastidiose. Dopo pochi secondi ti dimeni e fai gridolini come se stessimo scopando da ore. Sembri una di quelle che fingono per far contento l’uomo che hanno di fronte. Una di quelle che per far sembrare reale una scopata devono metterci gli effetti sonori.
Chiudo gli occhi e cerco di non pensare, di lasciarmi andare alle sensazioni e all’eccitazione.
Non devo pensare, non devo pensare, non devo pensare!
Se lascio partire il cervello è la fine, so già cosa può accadere.
Vedo Clelia che mi sorride dopo aver fatto l’amore.
Vedo Clelia che si stende sul mio petto e mi bacia, mi guarda dritto negli occhi ed è felice.
Vedo Martina seduta sul divano di casa mia, con le guance arrossate e un sorriso imbarazzato.
Vedo Martina che chiude gli occhi mentre cerco di baciarla e che dopo poco si allontana turbata.
Sono le donne che ho ancora nella testa, che mi dicono che non posso andare via. Appartengo a loro, in modi diversi e per ragioni sconosciute.
Non voglio pensare!
Sento le grida di Sabrina sempre più fioche. L’eccitazione si trasforma lentamente in quiete. Tutto tace nella stanza. Tutto tace tra le mie gambe.
Mi stacco da lei e mi siedo sul divano sudato e incazzato. Lei mi guarda triste e perplessa.

Scusami Sabrina…

Ho fatto qualcosa che non dovevo?

No, tu non c’entri niente.

E’ che non ti piaccio vero? Puoi dirlo, sono abbastanza grande per non offendermi.

– Non sei tu il problema, tranquilla.

Non potrei mai dirti la verità. E’ vero, non mi piaci. Ma se il mio stupido cervello non si fosse messo in mezzo come al solito, avrei scopato con te senza troppi problemi.

– Mi spiace…forse è meglio se mi rivesto e vado a casa.

19. L’ELOGIO DELLA FRIVOLEZZA

Ci sono giornate in cui non metto il muso fuori di casa. Mi stendo sul letto e col notebook sulle gambe cerco disperatamente contatti di direttori creativi, di agenzie pubblicitarie e invio curriculum per qualsiasi lavoro che possa avere a che fare con la comunicazione o con la mia tanto bisfrattata laurea.

Odio quando Andrea ritorna a casa dopo il lavoro. E’ sempre il primo ad arrivare, con quel suo sorrisino a 500 denti e quel suo modo di chiedere “Tutto bene?” tanto gentile quanto inutile.

Posso anche risponderti sì per educazione, ma sai benissimo che in questo momento non c’è un cazzo di niente che vada bene.

Puoi anche levarti quel tuo sorrisino dalla faccia e salutarmi senza chiedermi come sto. Non mi offendo mica.

Sono alle prese con l’ennesima mail di richiesta di colloquio che non avrà mai risposta.

Andrea bussa alla porta di camera ed entra sfoggiando due camicie quasi identiche che deve aver comprato da Armani o Calvin Klein.

Senza curarsi minimamente di come io lo ignori, si siede ai piedi del letto e col sorriso stampato in faccia me le sventola sotto il naso.

Si è sempre divertito a giocare con me sulle nostre differenze di gusto e stile in fatto di abbigliamento.

Io vesto ancora come un adolescente: magliette fosforescenti di H&M, t-shirt comprate nei miei vaggi all’estero o ai concerti, jeans vecchi e iperconsumati, camicette sgargianti e mai stirate.

Andrea non mette piede da Upim o Conpibel neanche sotto minaccia. Considera poveracci tutti quelli che non possono permettersi di fare shopping da Armani o CK.

Peccato che con quello che guadagna come commesso neanche lui potrebbe permetterselo in teoria. Ma se allo stipendio di 1000 euro ci aggiungi altri 1000 euro che i genitori gli danno tra affitto ed extra vari, capisci come sia semplice la vita per lui.

Lo invidio terribilmente.

Mi facevo tantissimi problemi quando ero arrivato a 900 euro di stipendio e riuscivo a limitare l’aiuto economico da parte dei miei al solo affitto. Con i restanti 900 euro riuscivo a fare tutto: vestirmi, mangiare, uscire e a volte persino a mettere qualcosa da parte.

Certo, non è che potessi concedermi molti lussi. Stavo sempre attento ai prezzi dei vestiti che compravo ed evitavo di superare certe cifre.

Con quello che io spendevo per comprarmi un pantalone e una maglia, Andrea ci comprava un paio di mutande da qualche sito internet americano.

L’ho sempre preso per il culo per il suo snobbismo in fatto di abbigliamento. E su questo ci ha sempre sguazzato, rispondendo ogni volta a tono e provocandomi di continuo.

Chi ci vede dall’esterno pensa che ci odiamo e che potremmo strangolarci alla prima occasione. In realtà non è così semplice la questione. Siamo due persone diverse, nei gusti e nell’atteggiamento nei confronti della vita.

Ma quando confrontiamo le nostre storie troviamo punti in comune inaspettati. Piccoli particolari che però fanno una grande differenza e ci permettono di trovare un punto di incontro.

Entrambi siamo cresciuti sorbendoci programmi tv assurdi gentilmente offerti dalle nostre madri.

Anche i ricchi piangono, Beautiful, Sentieri, Agenzia Matrimoniale.

Quando due persone ricordano perfettamente chi era il maestro Alessandro Alessandro*, non si può non amarsi a vicenda.

Abbiamo entrambi un amore smodato per tutto ciò che è trash: reality, liti tra starlette in qualche stupido talk show televisivo, pubblicità anni 80 con jingle terribili, meteore della tv che nessuno più ricorda e di cui noi due conosciamo vita, morte e miracoli.

Quando tiriamo fuori certi aneddoti dell’infanzia m viene in mente che forse ho rischiato di diventare gay anche io e ringrazio qualcuno lì in cielo perché ciò non è accaduto.

( * Nota per gli ignoranti: il maestro Alessandro Alessandro era il famosissimo pianista che intratteneva il pubblico nel programma tv Agenzia Matrimoniale).

Non è facile la loro vita. Non è semplice doversi accettare e farsi accettare. Andrea è fortunato, perché ha due genitori che lo amano alla follia e che gli hanno permesso di sentirsi libero di esprimersi e comportarsi per quello che è.

Molti gay non hanno questa fortuna. Devono nascondersi dagli sguardi della gente, dalle risatine, dai familiari razzisti e ignoranti.

Andrea è scappato dalla Calabria senza pensarci due volte. Troppo dolore nel non potersi mostrare per quello che era.

Qui a Milano è libero. La gente non fa caso a certe cose, nessuno si sconvolge se due ragazzi dello stesso sesso camminano mano nella mano per la strada.

Seduto ai piedi del mio letto, Andrea sventola le due camicette e cerca di attirare la mia attenzione.

–         Guarda, guarda…guarda come sono cangianti e toccale, senti la qualità del cotone. Per non parlare del taglio e delle sfumature dei colori.

–         Mmm…sì bravo…

–         Ma dai, guardale. Non sono frocissime?

–         Eh sì, degne di te…

Continua a sorridere, ignorando il mio totale disinteresse nei confronti di tutto ciò. Non capisce che c’è il momento in cui ho voglia di giocare alle amiche che prendono il tè e il momento in cui della sua frivolezza non so proprio cosa farmene.

–         Vuoi sapere quanto le ho pagate?

Ora gli metto le mani addosso sul serio.

–         NO! Non me ne frega un cazzo delle tue camicie di merda.

In questo momento non ho neanche i soldi per comprarmi una mutanda e tu mi vieni a sbattere in faccia la tua frivolezza. Vaffanculo!

Stavolta non va via col suo solito sguardo schifato da principessina di velluto offesa. Si vede che devo averlo ferito e che non si aspettava una reazione del genere.

–         Io non ti rispondo a tono perché sono una persona gentile…ma lasciatelo dire: sei pesante! Capisco il momento che stai attraversando e mi dispiace da morire, ma il minimo che tu possa fare è non prendertela con chi ti vuole bene e cerca di farti distrarre.

–         Ma a me non servono queste cazzate per stare meglio. Non è di superficialità che ho bisogno!

–         Dici? E allora fai come vuoi. Rinchiuditi in questa stanza con la porta chiusa e le persiane abbassate. Cazzo, sembri un vampiro, non fai entrare neanche l’aria e la luce del sole.

–         Senti Andrea non è giornata per favore…voglio stare da solo.

–         Come vuoi. Però la prossima volta ti prego di non rivolgerti a me in questo modo.

Va via sbattendo la porta. Stavolta ha fatto davvero centro. Ci provo e ci riprovo a sorridere e a guardare il mondo con ottimismo. Ma non ce la faccio proprio. E’ passato ormai un mese da quando ho lasciato il lavoro in azienda e ne sono passati tre da quando Clelia mi ha lasciato.

Da allora non è cambiato nulla. Nessuna proposta di lavoro, nessun colloquio degno di nota, nessun incontro interessante con persone dell’altro sesso.

Come faccio a essere ottimista e a guardare la vita con la stessa frivolezza di Andrea? Se lui si trovasse nella mia stessa situazione, se ne fotterebbe altamente. Passerebbe le giornate a prendere il sole al parco e a fare shopping in centro. Aspetterebbe con calma un nuovo lavoro, senza fretta e senza ansia.

Andrea ha lasciato il segno con le sue parole.

La notte mi addormento e mi tuffo in un sonno agitato e condito da un sogno che non ha bisogno di troppe analisi.

Sono sotto casa, fermo in automobile che aspetto qualcuno.

Sono rilassato e sembra quasi che sia lì per stare da solo e distrarmi. Steso sui sedili posteriori guardo fuori dal finestrino e vedo che per strada non c’è nessuno.

A un tratto vedo passare Alessandra, un’amica che frequentavo spesso ai tempi in cui stavo con Clelia.

Scendo dall’auto, la saluto e la invito a salire a casa.

Quando entriamo, Andrea ci accoglie in mutande e a stento rivolge la parola ad Alessandra.

Ale va in bagno a truccarsi, probabilmente ha qualche appuntamento e non ha fatto in tempo a prepararsi.

Dopo un po’ la vedo uscire dal bagno e non è più sola. C’è anche Clelia con lei. Non capisco, da dove è saltata fuori? Quando è entrata e chi cazzo l’ha invitata a casa mia?

Clelia cammina con lo sguardo abbassato. Non ci guardiamo mai negli occhi e non ci rivolgiamo la parola.

Andrea le blocca il passaggio e le rivolge la parola. Purtroppo non riesco a capire le sue parole. Ma in sogno come nella realtà, mi basta guardarlo in faccia per immaginare il tono del suo discorso. Le sta parlando con disprezzo e fastidio, quasi come se volesse incolparla per come mi ha ridotto e probabilmente non capisce con quale faccia tosta si sia presentata a casa nostra.

Clelia e Alessandra escono di casa senza salutarci.

Guardo la scena come se non fossi lì, come se tutto questo non mi appartenesse. Mi giro verso Andrea, che con aria schifata tenta di dirmi qualcosa su Clelia. Non capisco una parola, ma so che mi sta dicendo di lasciarla perdere.

Mentre parla non riesco a guardarlo in faccia, perché sono preso da qualcos’altro. Un lungo filo di cotone attorcigliato fuoriesce dai miei jeans. Cerco inutilmente di snodarlo o di strapparlo ma non ci riesco e intanto Andrea continua a farmi la predica su Clelia. Cazzo, quanto vorrei capire o ricordare le sue parole.

E’ un chiaro segnale quello che mi manda il mio inconscio.

Devi staccarti da lei se vuoi rinascere. Devi dimenticare il legame di dipendenza che avevi costruito con quella donna e fottertene del fatto che non ci sia più.

Tu puoi vivere senza di lei. Devi solo lasciarti andare e aprirti al mondo che c’è lì fuori. Tutto verrà da sé se ti lasci andare. Il lavoro, l’amore, nuove amicizie. Se non ti apri al mondo, il mondo non ti accoglierà mai a braccia aperte.

Ascolta la tua parte menefreghista e frivola.

Ascolta Andrea e lascia che le cose prendano la loro strada giorno dopo giorno.

18. LA FUGA DI UN CERVELLO

Sono sempre stato più bravo a scappare che a rincorrere.

Da sempre fuggo dai problemi, dalle mille difficoltà che si frappongono tra noi e la realizzazione di quelli che chiamiamo sogni.

Per trasformare un interesse, un lavoro, un hobby, una storia d’amore in un sogno devi crederci. E crederci vuol dire soffrire, piangere fino a sentirsi male e non avere più lacrime.

Per credere in un sogno devi avere la capacità di guardare lontano, oltre l’oggi fatto di problemi e calci in culo.

Il sogno è oltre. E’ il posto dove ancora non sei stato, è il traguardo irraggiungibile che diventa più vicino di giorno in giorno se solo provi a crederci e a impegnarti perché diventi realtà.

Solo con le donne non sono mai fuggito. Sono stato capace di stare dietro alla stessa ragazza per anni, nutrendomi di illusioni e speranze, rinunciando alla possibilità di vivere altre storie. Mi bastava il sogno per star bene e andare avanti.

Nello studio, nel lavoro e in tutti gli altri aspetti della mia vita non ho mai avuto la costanza e la caparbietà per andare avanti.

Mi sono trascinato negli anni dell’università preparando gli esami in una settimana, imparando il minimo indispensabile e senza mai approfondire realmente quello che trovavo nei libri.

Dicono che chi sceglie di studiare psicologia lo faccia prima di tutto per cercare di capire sé stesso. Cinque anni di esami non mi hanno dato alcuna notizia in più sulla mia insicurezza e sul perché non riuscissi a guarire dalle mie paure.

E’ che il mio cervello scappa. Cerca nuove strade, nuove possibilità. Il mio cervello si rinchiude nella sua scatola e si limita a guardare mezzo metro oltre. L’orizzonte è troppo lontano per poter tracciare una linea e toccarla con mano. L’orizzonte non esiste, è fantasia, è finzione da lasciare ai pazzi e ai sognatori.

E dire che sono sempre stato un sognatore. Sognavo donne che non mi volevano, sognavo sogni enormi e irrealizzabili.

E’ una scelta di comodità, proprio come con Martina.

Ho avuto la possibilità di inseguire due sogni difficili ma realizzabili: fare lo psicologo o fare il pubblicitario. Due lavori che sono tutto tranne che comuni e noiosi. Ma il mio cervello pazzo è scappato come sempre, limitandosi a vedere solo i problemi e le mille difficoltà che si collegano ai sogni.

Ancora oggi faccio fatica ad accettarmi e allora finisco per invidiare l’ignoranza, la banalità, chi si accontenta.

Invidio chi ha la vita prestabilita già all’età di 8 anni. I figli dei commercialisti che finiscono a fare lo stesso lavoro del padre, quelli che ereditano l’attività di famiglia, i ragazzi cresciuti senza troppe illusioni e col solo obiettivo di avere al più presto uno stipendio fisso.

Li ho invidiati così tanto da desiderare di diventare proprio come loro. Io che ho avuto la fortuna di poter credere alle favole e ai sogni.

Oggi vedo tutto chiaro e proprio adesso che comincio a capire chi sono e cosa voglio da me, rischio di cadere nella banalità e in una vita scontata e senza emozioni.

Mai desiderare troppo una cosa inconsciamente, perché alla fine questa ci arriva addosso con tanta violenza da lasciare un segno permanente.

Voglio spegnere il cervello per un po’. Riappropriarmi dei sogni e vivere ascoltando solo lo stomaco e la pancia.

Voglio silenzio e pace nella mia testa, per trovare il senso della mia vita nelle emozioni di ogni giorno. Voglio vivere nelle risate di mio nipote, nei litigi in ufficio, nelle piccole soddisfazioni che si provano nel fare bene una cosa, nell’abbraccio di un amico che non vedi da tanto, negli occhi di una ragazza che per strada ricambia un tuo sguardo.

Voglio riappropriarmi delle piccole cose, per spingere il domani più in là e per capire finalmente che l’orizzonte è avanti a noi.

Non è tra dieci anni, tra trenta o quaranta. Non è nel sogno di un matrimonio che non vedrai mai se prima non ti rendi abbastanza libero da poter amare sul serio. Non è in un figlio che non nascerà mai se prima non impari a volerti bene.

L’orizzonte è oggi.