Archive for giugno 2009

9. COME E’ UMANO LEI

Quando lavoravo in pubblicità ero convinto di fare il peggior mestiere al mondo. Orari assurdi, stipendio da fame, poche prospettive per il futuro e poca pochissima gloria. Quello che mi faceva più male era il non poter immaginare un futuro con Clelia. Progettare una famiglia, sognare dei figli, una casa, era qualcosa che a noi non era concesso.

Invidiavo il suo successo e la sua fame di gloria. Stare con una persona che fa il tuo stesso lavoro e che per forza di volontà e fiducia nei propri mezzi riesce molto meglio di te, è come dare il colpo definitivo alle tue già fragili ambizioni. Giorno dopo giorno avevo smesso di credere in quello che facevo. Mi sembrava inutile passare le giornate a preoccuparsi del modo migliore per vendere una merendina o un rotolo di carta da culo. E poi mi sentivo troppo sfigato e incapace per stare in quel mondo popolato da personaggi mitologici convinti di salvare il mondo con il proprio lavoro.

Mi sentivo troppo impacciato per gli aperitivi a Corso Como, troppo poco cool per fare bella figura quando accompagnavo Clelia alle feste di agenzia.Sì, perché poco importava se le agenzie non avevano i soldi per pagare stagisti e collaboratori a progetto. L’importante era organizzare mega party prima di Natale e delle vacanze estive per dimostrare a quelli delle agenzie concorrenti di essere i più fighi, di avere i soldi, di essere più originali.

Clelia era affascinata da tutto questo, dal finto lusso e dalla inesistente fama che popolava l’ambiente pubblicitario. Per lei era più importante poter dire di aver vinto qualche ambito premio al Festival Di Chissàcchè che metter su famiglia. Conosceva i suoi direttori creativi meglio di quanto conoscesse me.

Era deprimente.

Quando mi sono ritrovato senza una donna accanto, avevo di fronte due possibilità: tirare fuori le palle e ritagliarmi finalmente un posto decente in quel mondo o mollare tutto definitivamente e accettare di essere un uomo medio senza aspirazioni particolari, senza ambizioni e incapace di sognare. Scelsi la seconda strada accettando la prima proposta semiseria di lavoro. Un lavoro noioso ma con orari normali e stipendio garantito a vita. Mi sono bastati pochi giorni passati tra fatture, numeri, cavilli legali e serietà per capire di aver fatto un colossale errore.

Dovevo fidarmi delle mie sensazioni: dell’odore triste e deprimente che sentivo la mattina quando entravo nel mio nuovo ufficio. Era odore di vecchiaia, di scelte sbagliate, di un cumulo di possibilità gettate al vento. Era l’odore di quello che ho sempre evitato di diventare: una persona senza sogni, fredda e calcolatrice. Sono resistito un mese. Il tempo di sbattere la testa contro la cazzata che avevo fatto; il tempo per capire che a 27 anni, quando nessuno ti corre dietro, è ancora troppo presto per accontentarsi.

Sono fuggito via dopo aver pianto lacrime amare ed essermi maledetto ogni giorno quando riaprivo gli occhi. Mi sono tuffato in questo mare di incertezza in cui navigo ora: tra colloqui in pubblicità senza speranza, corsi di formazione che non iniziano mai, preghiere e ottimismo che tanto non cambiano mai lo stato delle cose. Ho paura di aver gettato tutto via definitivamente e di essere costretto in un modo o nell’altro a dover finire in uno squallido ufficio e di dovermi travestire di nuovo da Ragionier Fantozzi e stavolta per tutta la vita.

Addio Michael, Peter Pan per sempre.

Prendo una piccola pausa dalla pubblicazione della mia storia per rendere omaggio all’ultimo Peter Pan.

Michael Jackson è morto.

Addio e che tu possa finalmente trovare la pace.

8. MOGLIE E BUOI DEI PAESI TUOI

Clelia aveva molte cose in comune con me. Entrambi eravamo arrivati da Napoli col sogno di fare carriera nel mondo della pubblicità. Clelia sognava di fare quel lavoro da quando aveva 14 anni, io ci ero avviato per caso dieci anni dopo, una settimana dopo essermi preso una laurea che con la pubblicità aveva ben poco a che vedere. Entrambi avevamo tanti ricordi legati alla nostra città.

Lei era cresciuta nei salotti della Napoli bene, tra feste mondane e gite in barca a Capri. Io ero cresciuto alle falde del Vesuvio, tra sabato sera passati in pizzeria con il mio gruppo di amici verginelli e il massimo del lusso era spostarsi da un comune dell’hinterland all’altro per godersi una serata in qualche discobar di proprietà del camorrista tamarro di turno. La sua infanzia era scivolata via tra genitori divorziati e ridivoziati, la mia in una famiglia che tentava inutilmente di essere come la Famiglia Cuore. Lei aveva perso la verginità a 15 anni ed era stata a letto con un numero imprecisato di uomini che ho sempre evitato di quantificare. Io la verginità l’ho persa dopo i 20 anni, con fatica, sofferenza e incazzature varie e sono stata a letto con tre donne (Clelia compresa).

A guardarci bene, io e Clelia non eravamo poi così simili.

Quando siamo arrivati a Milano è stato naturale avvicinarci e passare del tempo insieme. Eravamo così spaesati e carichi di sogni e speranze. Non credevo che una ragazza piena di esperienza e così sicura di sé potesse provare interesse per un povero sfigato timido e impacciato come me. Anzi, nei primi giorni trascorsi insieme credevo che fossimo una coppia destinata a non avere futuro. Me lo sentivo: avremmo litigato nel giro di qualche settimana o di pochi mesi e probabilmente non ci saremo più parlati per il resto delle nostre vite. E invece è durata. Giorno dopo giorno siamo diventati uno parte dell’altra, inseparabili, dipendenti totalmente dalla vicinanza del partner. A volte amore fa rima con solitudine, con noia e paura. La nostra storia, nata con tanti dubbi e cresciuta fino a diventare seria sul serio, si è lentamente trasformata in una grossa bugia. Clelia aveva solo paura. Paura di ritrovarsi sola, di farmi stare male, di tornare a saltare da un letto all’altro e di circondarsi ancora di uomini che mai e poi mai l’avrebbero amata. E’ con la sua paura che è sopravvissuta agli ultimi mesi del nostro amore. Mentre io mi lamentavo di un lavoro che non mi faceva vedere prospettive future, di una città che poco a poco mi svuotava l’anima, di una famiglia lontana con cui i rapporti diventavano sempre più occasionali, Clelia in silenzio sopportava le mie lagne e coltivava il sogno di una vita lontano da me. E io che stupidamente mi dicevo che sarebbe stato solo un periodo, una fase normale per ogni coppia dopo due anni di fidanzamento. Io che ingenuamente continuavo a immaginare di che colore avrebbe avuto gli occhi e i capelli nostra figlia, come sarebbe stata arredata la nostra casa, come sarebbe stato vivere insieme giorno per giorno. La doccia fredda è arrivata una sera di gennaio, dopo un venerdì d’inferno in ufficio. Clelia è a casa sua che mi aspetta, mi fa trovare la cena pronta, l’ultima cena. Mangiamo, chiacchieriamo, beviamo un bicchiere di vino, lei fuma nervosa le sue sigarette. Una serata normale, come ce ne saranno state a centinaia per noi. Se in quel momento qualcuno mi avesse chiesto di scommettere un euro sulla fine della nostra storia in una serata del genere, mai e poi mai avrei gettato un centesimo per una cosa così assurda. E invece era tutto vero e stava per accadere da lì a poco a causa di un discorso nato dal nulla.

– Clelia, sai che oggi su Facebook ho chattato con l’ex di tua cugina?.

– Come sta? Che ti ha detto?

– E’ ancora perso di lei.

– Ancora? Ma se sono passati 5 mesi da quando lei l’ha mollato. Ormai…

– Sì, ormai dovrebbe essersene fatto una ragione. Non preoccuparti, quando mi lascerai ti darò un mese di tempo e se non torni capirò che è finita per sempre…

Silenzio agghiacciante. Altri tiri nervosi di sigaretta.

–         Tu scherzi sempre e non hai mai voglia di parlarne seriamente.

Come? C’è qualcosa di cui parlare seriamente? E tu cara Clelia aspetti che io faccia una battuta scema per tirare fuori l’argomento? Tu che ti sei sempre vantata di essere una donna con le palle, dove le hai lasciate in questo caso?

–         Se c’è qualcosa di cui parlare seriamente, facciamolo.

Ci sediamo sul divano. Tremo come una foglia e sento lo stomaco preannunciarmi un’amara verità.

Clelia ride, imbarazzata e incerta sulle parole adatte per dirmi come stanno le cose.

–         Sono mesi che rifletto su noi due. La tua infelicità mi ha stancato. Sono convinta che tu non sarai mai una persona felice…

Vorrei grattarmi i coglioni, toccare ferro e fare le corna ma mi limito a dirle:

–         Mi auguro proprio che non sià così sinceramente…

–         Io sento che non posso immaginare il mio futuro accanto a te, anzi, in questo momento sento di non poter immaginare un futuro accanto a nessuno.

–         Ma non ti salta in mente che magari se sto così è perché ti amo e vorrei tanto poter progettare qualcosa con te…e facendo un lavoro da 900 euro al mese e con zero prospettive so che questo è impossibile?

–         Io sento di non amarti più, di non essere più innamorata di te.

–         E allora cosa vuoi fare? Qual è la cosa giusta da fare per noi due?

–         Credo che dobbiamo lasciarci…

Lacrime, rabbia, istinto omicida. Ti avrei tirato un pugno per la freddezza con cui mi hai detto tutto questo. Prima mi accogli in casa dopo una giornata di lavoro durissima, mi abbracci, mi baci, mi prepari la cena e poi da una semplice battuta poni fine a una storia di due anni e mezzo.

E cosa aspettavi Clelia?  Dove è finito il tuo coraggio, cosa ne è stato della tua maturità?

Vado in bagno e mi asciugo le lacrime. Lancio un’ultima occhiata a quel bilocale dove ho vissuto per tre giorni alla settimana negli ultimi due anni e mezzo e sento voglia di vomitare.

E’ terribile guardare un posto pregno di ricordi e non avere il tempo per realizzare che quella è l’ultima volta che vedrai quelle quattro mura, il letto dove facevi l’amore con lei e dove la svegliavi la domenica mattina.

Esco di casa e cerco di non voltarmi più indietro.

7. COME GUARIRE DAL DIABETE

Quando una lunga storia d’amore finisce senza un vero preavviso,  il problema principale è liberarsi da tutto lo zucchero con cui ci si è avvelenati l’anima giorno dopo giorno. Ogni coppia ha i suoi rituali, le sue paroline magiche, i suoi gesti irripetibili. C’è chi usa vezzeggiativi buffi come gattino, ciccino, ciciò, cocò, topolino; c’è chi si affida a una carezza particolare che fa sciogliere l’altro anche nei momenti di nervosismo; c’è chi si riempie di dolci e sfrutta ogni occasione per regalare all’altro quintali di cioccolatini e caramelle.

Anche la coppia più cinica e insospettabile del mondo finisce in questa trappola, c’è poco da fare. E allora come fai a guarire quando da un giorno all’altro ti ritrovi senza lo zucchero e sei costretto a una dieta ferrea? Niente più abbracci, niente più carezze, niente più paroline speciali, niente di niente. Il vuoto in cui piombi il primo giorno del resto della tua vita da single è agghiacciante. Ti svegli dopo aver fatto finta di dormire e aver pianto litri di lacrime a getto continuo. Anche il caffè non ha più lo stesso sapore: puoi metterci tutto lo zucchero che vuoi, sarà sempre amaro il primo caffè che bevi da solo. Sei solo al primo atto della giornata e già hai in mente lei: ti ricordi quando le portavi il caffè al letto la domenica mattina, nei vostri tentativi di convivenza da fine settimana. Vai in bagno a lavarti e pensi che la prossima volta in cui ti spoglierai di fronte a una donna senza sentirti in imbarazzo potrebbe arrivare tra anni e anni. Apri l’armadio e quello che ti sembrava uno spazio enorme è improvvisamente diventato un minuscolo armadietto da liceo. Vedi cumuli di magliette ammassate una sopra l’altra senza pudore e pensi che buona parte di quelle t-shirt le hai comprate con lei e le hai lasciate in un cassetto del suo armadio per più di due anni. Ti sei ripreso tutto quello che avevi accumulato a casa sua: vestiti, libri, profumi, spazzole, spazzolini, orologi. Le avresti lasciato volentieri tutto pur di non vivere quello strazio ogni giorno. Quando finisce una storia, tutto intorno a te sussurra parole strazianti e cariche di ricordi. Gli oggetti si trasformano in mostri, cominci a odiare jeans e camicie che fino a pochi giorni prima avevi adorato. Molti posti della città diventano tabù: eviti i ristoranti in cui sei stato con lei, eviti il suo quartiere, eviti i posti dove sai che potresti incontrarla da un momento all’altro.

Ma quello che fa più male è la mancanza dello zucchero. Vorresti il suo calore nella notte e invece ti devi riabituare alla solitudine di un letto scomodo e a lenzuola piegate male e che non hanno odore. Per due anni avevi finito per amare un animale che ti era sempre stato sulle palle: il gatto. Gatto di qua, gatto di là, gattino mio, micino mio, fammi le fusa…era la vostra parolina magica. Ora se incontri un gatto per strada ti viene voglia di fargli tanto ma tanto male e ti trattiene solo il fatto che in fondo in fondo hai ancora della bontà nascosta da qualche parte nel tuo cuore malato. Lo zucchero è droga e non puoi privare un uomo di una droga senza dargli un preavviso.

Per guarire dalla crisi di astinenza, dopo aver inutilmente riagganciato i rapporti con il grande amore irraggiungibile della mia vita, ho cominciato a frequentare donne che tanto non avrò mai neanche il coraggio di scopare. Trentacinquenni attempate che muoiono dalla voglia di saltarti addosso, ragazze timide e impacciate che prima di accettare un invito a cena fuori ti faranno crepare per mesi. Dopo lo zucchero arriva il conto da pagare, salato e amaro. Se volete una cura vera per il diabete, l’unico rimedio è cercare in qualche cassetto dimenticato un’altra porzione di zucchero.

6. L’AMORE HA LA DATA DI SCADENZA.

Certe ragazze sono facili da decifrare. Certe ragazze le guardi in faccia e capisci che dietro a un’aria da donne serie e fedeli si nasconde qualcosa. Le osservi e capisci che hanno bisogno d’altro, che sognano passioni infinite e sconvolgenti. Certe ragazze mentono a se stesse quando dicono che non ti lasceranno mai, che ti saranno sempre fedeli, che mai e poi mai potrebbero vivere senza di te. Margherita è la classica ragazza della porta accanto: 22 anni, di buona famiglia, viso pulito e dolce, studentessa modello, fidanzata da sempre con lo stesso ragazzo conosciuto ai tempi del liceo. Margherita ha da poco scoperto cosa c’è oltre la porta accanto.

Milano ti cambia: ti svuota l’anima dai buoni sentimenti, ti vizia, ti seduce, ti stupra, ti abbandona. Milano ha trasformato Margherita in quello che mai avrebbe pensato di poter diventare: una ragazza divisa a metà tra l’amore e l’ossessione. Alberto ha 36 anni ma ne dimostra molti di più. Accanto a Margherita sfigura alla grande ed è un mistero per tutti capire cosa cazzo mai possa averci trovato la cara e dolce Margy in uno così. E’ uno di quei tizi a cui spaccheresti il setto nasale dopo 5 minuti trascorsi nella stessa stanza, uno di quelli che vuole sempre avere ragione e che crede di essere l’unico ad avere fatto esperienze significative nella vita. Forse sarà stata proprio la sua insignicante spavalderia ad accecare Margherita. E così da 6 mesi la dolce Margy fa la spola tra il suo storico fidanzato di Torino e il suo patetico amante assistente universitario di belle speranze. Ovviamente il boyfriend è convinto che lei sia qui a fare la brava e che mai e poi mai potrebbe rovinare una storia che dura da così tanto. Le donne si lamentano sempre di essere ingenue, ma non hanno idea di quanto possiamo esserlo noi uomini. Ci sono fondamentalmente due categorie di maschi: quelli nati per passare da un letto all’altro senza porsi troppe domande e quelli nati per perdere la testa per ogni ragazza che passa nella loro vita. Quelli come me e il fidanzato di Margy appartengono tristemente alla seconda. Sì, perché per quanto possiamo impegnarci a fare gli stronzi e a essere menefreghisti, abbiamo un problema di DNA che ci fotte e che ci fotterà sempre. Siamo sensibili, romantici, ci crediamo ancora nell’Amore, in quel dannato amore da film e da romanzo, in quel vissero felici e contenti che ci piace così tanto. Le donne preferiscono i maschi della prima categoria.

5. RESISTERE, RESISTERE, RESISTERE E NEL TEMPO LIBERO ESISTERE.

Prendete il prototipo dell’intellettuale di sinistra, immerso nei suoi ideali fino allo sfinimento, moltiplicatelo per 100 e avrete una vaga idea di chi è Claudio.

27 anni, siciliano doc, salito a Milano a 18 anni e mai realmente ambientato in questa città, Claudio lavora come giornalista freelance per uno di quei giornali gratuiti che distribuiscono la mattina in metropolitana. Saltuariamente scrive articoli anche per svariati siti politici. Claudio è uno di quelli che piuttosto che fare la spesa alla Standa o fittare un dvd da Blockbuster si impiccherebbe. Nonostante sia single da tempi immemorabili, il buon Claudio attira un buon numero di donne e riesce a saltare felicemente da un letto all’altro con un menefreghismo inquietante. Dice di innamorarsi in media 10 volte alla settimana ma di non andare mai oltre il secondo appuntamento. Sarà perché tenta di evitare il dolore dopo aver sofferto per la sua precedente storia, sarà perché odia profondamente le donne (anche se non lo ha ancora capito), ma credo che il giorno in cui vedrò Claudio fidanzato o sposato mi farò prete per la disperazione. Fumatore incallito di erba e hashish, che neanche un 18enne in gita ad Amsterdam arriverebbe a tanto, è riuscito a diventare il mio migliore amico dopo le prime diffidenze.

Le prime settimane di convivenza l’avrei strozzato. Sono sempre stato appassionato di politica, non ho mai mancato il mio dovere di elettore e ho delle idee piuttosto chiare, ma non ho mai potuto reggere gli estremismi e quelli che vedono il mondo in bianco o in nero. Non puoi finire con l’interrogare la tua coscienza morale prima di ogni tuo gesto: è così che ci si rincoglionisce del tutto! Non puoi fare la spesa e imparare a memoria quello che c’è scritto su ogni prodotto che compri per evitare di scegliere cibi o bevande prodotti con lo sfruttamento di una qualsiasi forma di vita. Fare la spesa con Claudio è come fare sesso con una casalinga vergine di 60 anni: una noia mortale. Nonostante tutto, non saprei a chi altro rivolgermi nei momenti di sconforto. I nostri caratteri così pesanti, insicuri, instabili si sono un po’ alla volta amalgamati alla perfezione. Entrambi nutriamo un odio infinito per Milano e sentiamo di non voler assolutamente invecchiare qui. Peccato che giorno dopo giorno i fatti ci smentiscano!

Il rapporto di Claudio con i genitori è perfino peggiore di quello che ho io con i miei. Li telefona in media una volta al mese e pur di non chiedere una lira ai suoi farebbe 3 lavori contemporaneamente. Il suo orgoglio e la sua testa dura non conoscono ostacoli. Se Claudio decide una cosa non riuscirete mai e poi mai a fargli cambiare idea e se proverete a farlo rischierete di essere pubblicamente umiliati. Claudio è un fottutissimo e geniale stereotipo: barba incolta, occhiali spessi da intellettuale, kefia da studentello liceale, maglioncini colorati di due taglie più grandi e iperconsumati. Una di quelle persone che potresti odiare dopo soli dieci minuti, ma che finiscono per stupirti con la loro profondità e la loro intelligenza acuta e raffinata.

Claudio potrebbe rinunciare ai propri sogni in un attimo e tornare in Sicilia a lavorare per la ditta del padre. Ma Claudio lotta, fa i salti mortali per portare avanti le sue idee nella sua professione e nella speranza di tempi migliori resiste.

4. L’AMORE (OMOSESSUALE) AI TEMPI DI INTERNET.

Quando ti trasferisci a Milano da una qualsiasi parte di Italia e hai pochi soldi per mantenerti, la soluzione è una sola: condividere una casa con perfetti sconosciuti pieni di belle speranze come te.

Andrea ha 26 anni ed è la prima persona dichiaratamente omosessuale con cui mi sia capitato di avere a che fare quotidianamente. Lavora come commesso in un rinomato negozio di abbigliamento del centro. Nulla di più tipicamente gay nella capitale della moda. Da quando convivo con lui ho imparato a conoscere pregi e difetti degli omosessuali. E’ vero quello dicono, sono sensibili e raffinati fino allo stremo, attenti cultori della moda e dell’aspetto fisico, appassionati di arte e colti in modo imbarazzante. Ma purtroppo o per fortuna loro, i giovani gay sanno come divertirsi. Grazie ad Andrea ho scoperto lo strano e inquietante mondo delle chat gay. Ti crei un profilo con tanto di foto, magari la più carina e taroccata che hai, descrivi dettagliatamente i tuoi gusti e le tue preferenze sessuali (perversioni e fobie comprese) e nel giro di qualche ora ti ritrovi la casella intasata di messaggi di gente che scoperebbe con te anche tra dieci minuti. Uomini sposati e rispettabili che nella vita di tutti i giorni fingono di essere etero; modelli vogliosi e con pacco bene in vista; stranieri che a Milano hanno trovato il paese dei balocchi; ragazzi come Andrea che hanno cominciato a vivere la propria sessualità solo da qualche anno e che ora si trovano persi in quello che sembra essere un enorme mercato libero del sesso.

Basta davvero poco, basta essere passabili e disponibili e ti si aprono un’infinità di possibilità. Stasera hai voglia di scopare con un quarantenne brizzolato e palestrato? Dieci minuti ed è fatta. Domani ti va un nero superdotato? Niente di più semplice. E così molti omosessuali consumano rapporti veloci, storie di una notte che difficilmente hanno un seguito.

Andrea si confida e racconta a me e agli altri coinquilini le sue notti folli, i suoi appuntamenti quasi al buio, i suoi esperimenti. E’ una continua e sfrenata ricerca di piacere che da un lato invidio e dall’altro mi spaventa e mi fa tristezza. Certo, a molti etero della mia età non dispiacerebbe trovare una donna con cui fare sesso con tanta felicità. Pensa che pacchia: entri in chat, contatti un paio di fighe e nel giro di mezz’ora hai la scopata assicurata. Ma poi cosa ti rimane quando hai emesso l’ultimo grido di piacere? Quello che resta è solitudine, senso di sporco, insicurezza. Andrea sa di mentire a se stesso quando si vanta dei suoi successi in campo sessuale. Ma dentro di sé, sa perfettamente che andando avanti così difficilmente troverà un partner fisso prima dei 40. Il problema dei gay è uno solo: hanno il pisello. E in quanto maschi, sentono un bisogno irrefrenabile di fare sesso e sapendo che possono farlo come e quando vogliono non si fermano più. A volte è difficile spiegare ad Andrea che si può anche sopravvivere stando 6 mesi in astinenza. Succede a tantissimi ragazzi etero e per quanto sia duro e ti faccia incazzare, nessuno è mai morto per la mancanza di sesso. Se non scopa per più di un mese Andrea comincia a impazzire: mangia schifezze che normalmente non toccherebbe neanche con un dito e mastica tutto con una voracità che poco si addice a un ragazzo delicato e scheletrico come lui. Vorrei che imparasse ad amare, a cercare l’amore prima di un cazzo da succhiare, a concedersi con meno facilità. Ma Andrea è vorace: vuole tutto e subito, non ha pazienza, non accetta rifiuti. Andrea è un ego leggermente smisurato e gonfiato da riempire con complimenti e conquiste. Andrea è fragile, più fragile di quanto egli stesso creda. Non è un caso se le lesbiche hanno un comportamento completamente diverso dai gay.

Le lesbiche si conoscono e spesso dopo poco si innamorano, finiscono per fidanzarsi e vanno a convivere. Le lesbiche sono donne. Hanno una sensibilità vera, genuina, che nasce da dentro e che non è solo amore per i fiori, per un mondo di colori e frivolezza. In quanto donne sanno amare senza limiti, sanno soffrire e accettare le delusioni e il dolore che l’amore e le relazioni possono portare. Le lesbiche, per loro fortuna, hanno un problema in meno dei gay, che le rende più adatte all’amore e ai sentimenti in genere.

Le lesbiche non hanno l’uccello.

3. PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA’ – Volume 1

Da bambino non potevo immaginare gli effetti che avrebbero avuto nella mia vita le ore passate a guardare la cara vecchia tv berlusconiana, imparando a memoria frasi come:

IL GUSTO PIENO DELLA VITA

O COSI’ O POMI’

DOVE C’E’ BARILLA C’E’ CASA

COSA VUOI DI PIU’ DALLA VITA? UN LUCANO

PIU’ BIANCO NON SI PUO’

SVIZZERO? NO, NOVI

CHI VESPA MANGIA LE MELE

I nostri nonni sono cresciuti con gli slogan fascisti sulla patria e tutte quelle cazzate varie, i nostri genitori si sono rincoglioniti con i sogni di gloria pacifisti dei figli dei fiori, a noi è toccato sorbirci un bombardamento di slogan pubblicitari tra un cartone animato e un varietà. Abbiamo imparato sin dalla più tenera età che c’è la pasta che ti fa sentire a casa e quella che fa tacere tutti, che babbo natale si ubriaca con una bibita americana marrone e che i denti del nonno possono fare bollicine. Una generazione destinata a crescere nella confusione insomma.

La pubblicità non è come la si vede nei film. E questo qualcuno doveva dirmelo! Chi vede il mestiere di pubblicitario dall’esterno crede che sia una delle più grandi figate al mondo. Ti alzi tardi la mattina e vai in ufficio ad ascoltare musica rock di nicchia e a scrivere quattro cazzate per un dentifricio o per una marca di pasta scadente; la sera esci dall’ufficio e ti tuffi direttamente in un bar a bere Mojito e Long Island o in qualche discoteca a rimorchiare ventenni allupate. E per fare questo magari ti pagano anche soldi a palate. Niente di più finto. La pubblicità oggi ha poco a che fare con quello che si vede nei film. Quel mondo pieno di soldi, di droga, di alcol, di feste e puttane non esiste più se non nella mente distorta di qualche addetto ai lavori che crede di essere ancora nei favolosi anni 80.

Oggi il pubblicitario medio italiano non ha neanche i soldi per arrivare a fine mese, per farsi una famiglia, per comprare una casa. Il pubblicitario medio è spesso laureato e di buona famiglia, si fa aiutare dai genitori fino ai 35 anni e intanto gioca a fare la rockstar tra i locali alla moda di Milano. Vive in minuscoli monolocali sporchi e disordinati, o in condivisione con una o più persone che a loro volta fanno questo lavoro o qualcosa di altrettanto inutile. Pochi fortunati, eredi degli ultimi anni in cui giravano i soldi in questo mondo, hanno contratti dignitosi e magari col tempo hanno costruito una famiglia e comprato una casa. Il resto si accontenta di sopravvivere e di alimentare il proprio futuro con sogni e speranze. Ma il mestiere del creativo ha dei vantaggi che tanti altri lavori non hanno: ti dà la possibilità di divertirti lavorando (anche se spesso e volentieri, tra scleri e richieste folli dei clienti, il lavoro è una rottura di palle), ti dà la possibilità di vestirti come  ti pare e ti fa sentire giovane anche a 40 anni. Ne ho viste di cose che voi comuni essere mortali non potete immaginare. Ho visto direttori creativi sputtanarsi migliaia di euro in cene e viaggi da inserire in nota spese senza alcun motivo valido; ho visto gente finire sull’orlo dell’esaurimento nervoso per aver lavorato anche 24 ore consecutive senza straordinari pagati; ho visto gente presentarsi in riunione totalmente ubriaca e ciò nonostante ottenere l’attenzione dell’audience e l’applauso finale. E la cosa più assurda è che tutto questo mi ha attratto follemente e mi attrae ancora. Il mestiere del pubblicitario è un modo creativo per allontanare la vecchiaia e la maturità. E’ una via di fuga dal mondo del lavoro come ce l’hanno presentato da bambini: abiti seri, linguaggio formale, RESPONSABILITA’! Ecco come le agenzie di pubblicità allevano laureati che non sapevano cosa fare dopo aver preso il loro bel pezzo di carta, figli di papà che a 30 anni si possono permettere il lusso di vivere lontano da casa e di guadagnare 500 euro al mese, donne quarantenni single e con una forte alopecia che prima di fare un figlio dovranno chiedere il permesso ai loro boss.

La pubblicità è colore, fantasia, poesia. La pubblicità è finzione, immagine, costruzione, mal di stomaco, fame chimica, senso di vertigine, paura di crescere. La pubblicità è solitudine e follia. E’ un mondo di mancati poeti e scrittori falliti, di pittori che non venderanno mai un’opera, di artisti senza dimora, di inguaribili romantici che forse non troveranno mai il vero amore. La pubblicità è quel sogno che mi ha spinto ad andar via dalla mia casa. Non ne sapevo nulla. Guardavo solo gli spot in tv e ridevo e piangevo e avrei voluto far ridere e piangere anche altre persone con idee brillanti e testi dal sapore poetico. La pubblicità è stata la mia casa per due anni e mezzo; mi ha dato l’amore e poi me l’ha tolto, mi ha dato un lavoro instabile ma invidiato da tanti e poi mi ha fatto scappare via.

2. IL SUICIDIO DI UNA POTENZIALE ROCKSTAR

La mia adolescenza è trascorsa nell’anonimato più totale. Nella ridente cittadina di provincia in cui sono cresciuto ogni giorno era uguale all’altro. E tra la noia e l’apatia gli anni sono passati velocemente, senza brividi, senza qualcosa che potesse renderli davvero irripetibili e straordinari.Ancora oggi quando torno in quei luoghi, mi sembra che il tempo si sia fermato attorno alle cose e alle persone. Tutto sempre uguale, tutti che si accontentano di campare alla giornata senza porsi obiettivi e senza coltivare ambizioni.

E’ allora che cominci a sentirti irrimediabilmente diverso. Quando cominci a sognare un avvenire che non sia una storia già scritta da qualcun altro. Sogni giorno dopo giorno, a occhi aperti e mentre dormi.

E nel sogno sei una rockstar timida a cui manca la voce, che un bel giorno si sveglia e trova in sé la forza di un leone. Sogni platee infinite di centinaia di migliaia di persone che urlano il tuo nome, che ti osannano come se fossi un Dio. Sogni di girare il mondo, di scopare con tutte le donne più incredibili, di provare ogni tipo di sostanza tossica e di dormire negli alberghi più lussuosi che tu possa immaginare. Poi piano piano ti accontenti di qualcosa di meno eclatante e nel silenzio della tua cameretta cominci a scrivere poesie e racconti.

E allora sogni di diventare un grande scrittore, che firma autografi del suo best seller in una libreria di New York. Uno scrittore che vende milioni di copie in tutto il mondo, che viene intervistato dai giornalisti più autorevoli. Uno che quando parla può permettersi di dire cazzate con la stessa aria snob di chi svela al mondo grandi verità.

Cazzo che voglia di fuggire via che avevo. Mi sarei scrollato di dosso quell’aria da adolescente brufoloso e sfigato e avrei conquistato il mondo. Era la speranza a tenermi in vita, a non farmi dormire la notte, a riempire la mia testa di ambizioni più grandi di me.

Poi accade che gli anni del liceo finiscono, ti iscrivi all’universià con poca convinzione e con poca passione riesci anche a laurearti in tempo. E allora ti volti indietro e vedi che nel frattempo è cambiato poco o niente. Non sei diventato una rockstar e non hai mai trovato le palle neanche per cantare una canzone di musica leggera italiana al karaoke. Non sei diventato uno scrittore di fama e il tuo più grande successo si ferma a un blog di stronzate che leggono al massimo 10 persone al mese.

Ed è quello il momento in cui capisci di poterti giocare ancora un’ultima preziosissima cartuccia per fuggire via e trasformarti da brutto anatroccolo a cigno. Ma per farlo devi accettare di abbassare un pochino la guardia e di ridimensionare le tue ambizioni.

E’ così che sono finito a Milano a fare il pubblicitario.

1. SECONDA STELLA A DESTRA

Qualcuno prima o poi dovrà spiegarmi cosa ne è stato della Milano da bere. E pensare che io neanche ci volevo venire in questa città. Dalla mia calda e terronica città di mare vedevo Milano come il più angusto e inospitale dei mondi possibili. La odiavo e la temevo con tutto me stesso, stupido difensore accanito della napoletanità, del sole, della pizza e delle sfogliatelle. Pulcinella abbia pietà di me che oggi sono qui all’ombra della Madonnina dalla bellezza di 3 anni.E non pensiate che in 3 anni io abbia costruito qualcosa di concreto che possa giustificare la mia presenza qui.

La mia situazione attuale è di quelle che potrebbero spingerti al suicidio nel giro di qualche settimana. Da quando è iniziato il fantastico 2009, anno della terribile crisi economica mondiale, la mia vita è andata lentamente a puttane.Sono stato lasciato da quella che credevo essere la donna della mia vita dopo due anni e mezzo in cui ero diventato totalmente dipendente da lei. Drogato sentimentale che non sono altro.Ho abbandonato il lavoro precario ma affascinante che mi ero scelto dopo la laurea per inseguire l’utopia del posto fisso e di una triste vita da Ragionier Fantozzi.Dopo appena un mese ho perso il posto da Ragionier Fantozzi e ho cercato inutilmente di riprendermi il mio vecchio e bisfrattato mestiere. Per fortuna che ho ancora 27 anni e qualche speranza a cui aggrapparmi. Dio benedica i miei che a distanza mi mantengono e mi permettono di trascorrere queste giornate inutili e senza fine mentre cerco un lavoro che possa avere un minimo a che fare con la mia bizzarra persona.

La Milano da bere è quel lontanissimo ricordo anni ’80 spazzato via da tangentopoli e dai cambiamenti rapidi a cui questo nostro bel paese è stato sottoposto nel giro di venti anni. Oggi questa città ha perso quel briciolo di anima che aveva. Se provi a cercare un milanese a Milano, non lo trovi neanche a pagarlo. E così eccoci: un napoletano, un calabrese, un siciliano e una torinese rinchiusi tra le quattro mura di una casa di periferia. Tutti arrivati qui con la classica valigia piena di sogni e illusioni.

Sogni diversi, caratteri apparentemente incompatibili, storie messe insieme dal destino senza alcuna logica.

Noi siamo la Milano del 2009, un mix incasinatissimo e senza soluzione di continuità di gente proveniente da tutta l’Italia, dall’Africa, dal Sud America, dall’Asia.

Sembra una di quelle barzellette sceme che mi raccontavano a scuola da bambino: c’era un cinese, un francese e un napoletano.

E’ la città dove i single hanno superato le famiglie. Dove nessuno più si sposa, perché non ha il tempo, i soldi e la voglia per farlo. E’ la città della continua fretta, del mordi e fuggi, degli aperitivi antidepressivi. E’ la città dove gli extracomunitari che lavorano in nero e i cinesi che fanno i massaggi guadagnano più dei laureati fuori sede con Master e borse di studio. E’ la città dove il piatto tipico è diventato il kebab: 3 euro e 50 centesimi e stai bene per pranzo, cena e dopocena. Il piatto di chi non ha una lira in tasca, di chi non ha tempo per cucinare, di chi non ha mai imparato a cucinare. E’ la città dove il kebab rischia di diventare fuori legge, dove i cinesi si improvvisano pizzaioli napoletani e dove i napoletani che hanno fatto fortuna vestono Armani e parlano con la erre moscia.

Qui a Milano ci siamo tutti e non c’è nessuno. Tutti di passaggio, tutti in stand-by, in attesa di capire cosa farne della propria vita. Tra contratti a progetto, disoccupazione, fuffologia applicata studiata allo IULM o alla Cattolica, cerchiamo il nostro posto nel mondo. Siamo una generazione che non ha la minima idea di dove stia andando, ma senza porci più domande e senza illuderci più di tanto tiriamo dritto per la nostra strada.

Seconda stella a destra, questo è il cammino.