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26. LA DONNA PERFETTA

Stesi sull’erba del Parco Sempione io e Giulia cerchiamo di conoscerci meglio, di aprirci una parte del nostro cuore. Vorrei fare le cose con calma, non svelare troppo della mia vita e del mondo che ho dentro, ma so che come al solito farò un mucchio di cazzate. Con le donne non ci so proprio fare!

–         A che pensi? – Giulia mi guarda con i suoi enormi occhi azzurri, mentre qualche nuvola minacciosa si muove sopra di noi.

–         A nulla in particolare…

–         Cos’hai le scimmie nel cervello come Homer Simpson? Non mi sembri il tipo!

–         Ma no! Dai, non sto pensando a niente.

–         Non ti credo!

–         Eheh…e va bene. Penso alla mia ex…

–         Ancora?

–         Ancora…- mi vergogno tremendamente e non riesco a guardare quei suoi immensi occhi mentre le parlo.

–         Raccontami di lei. Non ne abbiamo mai parlato.

–         Lei era…era tutto.

–         Ovvio! Altrimenti non l’avresti amata…

–         Certo. Ma era tutto, nel senso che nella mia vita stava ricoprendo più ruoli. Riusciva a farmi da amante, da amica, da madre. Con lei sentivo la mia vita completa.

–         Ne sei proprio sicuro?

–         Che vuoi dire?

–         Bè…se la tua vita era così completa, perché eri comunque un infelice? Perché dopo appena un mese dalla fine della vostra storia hai mollato il lavoro? E perché mentre eri con lei non hai fatto altro che lamentarti della tua situazione precaria?

–         Perché avevo paura. Volevo che fosse tutto perfetto, volevo che anche il lavoro andasse meglio. Volevo sognare un futuro che non riuscivo a vedere.

–         Tu sei uno che non riesce a vivere senza programmare le cose vero?

–         No. Almeno era così in passato. Oggi mi sveglio la mattina e il mio unico obiettivo è arrivare vivo alla sera.

Ride a crepapelle e mi dà un pizzicotto su una guancia. E’ un gesto che odio! Come se fossi un povero scemo di 14 anni. La ritengo una mancanza di rispetto, è un modo così patetico di sminuire quello che una persona sta dicendo.

–         Io ho quasi 30 anni Diego. Ho un lavoro precario e che non so quali prospettive possa offrirmi. Al momento sto bene a Milano ma so che non voglio passarci il resto della mia vita. Insomma, il mio futuro è incerto quanto il tuo…eppure non mi preoccupo, vivo alla giornata e me ne frego della carriera. Se domani dovessi restare senza lavoro sai cosa farei?

–         Cosa?

–         Preparerei la valigia e me ne volerei all’estero. In Spagna o in Inghilterra. Andrei lì all’avventura e mi accontenterei di fare qualsiasi cosa che mi possa permettermi di mantenermi. La carriera è un’invenzione del ventesimo secolo! Che te ne frega. Non è il lavoro che ti deve rendere felice, sei soltanto tu. E tu non sei il tuo lavoro!

–         Ma il lavoro è una parte fondamentale della vita. Non possiamo considerare una cosa che ci riempie la maggior parte delle nostre giornate come un di più! Comunque è strano sentirti dire queste cose…

–         In che senso?

–         Clelia era completamente diversa da te. Era ossessionata dalla carriera, dal successo. Doveva dimostrare di sapercela fare, di essere la migliore. E questo mi ha fatto male, ma l’ho capito solo col tempo. Ha aumentato il mio stress, la mia ansia, la mia fottutissima paura di non farcela.

–         Mi stai paragonando alla tua ex? Devo preoccuparmi?

Alzo gli occhi al cielo e getto uno schiaffo al vento, come per far volare via la cazzata che ha detto. In realtà non ha tutti i torti. A prima vista mi ha colpito una certa somiglianza tra Giulia e Clelia. Non che si somiglino sul serio, ma come tipologia di donna siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Sono quelle donne che riescono a farti sentire completo. Le donne che hanno in sé la sensualità, il senso materno, la dolcezza e l’eleganza. Non so se esista la donna perfetta a questo mondo, ma se esiste probabilmente è fatta così.

–         Ma no Giulia…non preoccuparti, non te lo faccio passare questo guaio.

–         Ahahah…sei troppo scemo tu!

–         Grazie eh, sempre piena di complimenti.

–         Scherzo. In realtà sei una bella persona tu. Mi piaci, sei proprio un bravo ragazzo.

Ecco, la storia del bravo ragazzo che torna a perseguitarmi. Se sei un bravo ragazzo non sei nessuno. Nessuna donna è attratta dai bravi ragazzi. Ed è per questo che resto sempre solo e che nessuna mai si lascia andare con me. Sono quello che fa colpo le prime due volte, perché è simpatico, galante, intelligente. Poi viene fuori la storia del bravo ragazzo e finisce tutto lì. Mi tradiscono la mia faccia ingenua, che purtroppo nasconde tutta la rabbia che ho verso il mondo in questo momento. Non servono a niente i piercing che porto ancora sull’orecchio sinistro, nonostante sia arrivato alla soglia dei 30 anni. Non serve a niente cambiare taglio dei capelli: corti e spettinati, ricci e lunghi, lisci e pieni di gel. La mia faccia mi fotte, le mie parole mi condannano definitivamente. Sono proprio stanco di essere quel bravo ragazzo e non ne posso più delle ragazze che mi guardano come se fossi un orsacchiotto di peluche. Ho carne, muscoli e vene che pulsano sotto la pelle e nessuna di voi sembra accorgersene.

Resto in silenzio dopo il suo pseudocomplimento e mi giro su un fianco a guardare le fantastiche modelle che leggono riviste fashion a pochi metri da noi.

–         Perché ti giri dall’altra parte Diego?

–         Così…

–         Ti sei offeso per qualcosa?

–         No, perché mi sarei dovuto offendere?

–         Ok…comunque è ora di tornare a casa. Stasera c’è l’aperitivo in Corso Como ricordi?

–         Certo.

–         Viene anche il tuo amico che era alla festa sul tram? Come si chiama?

–         Chi, Davide?

–         Sì lui. E’ simpatico, come te. Chi si somiglia si piglia in fondo.

–         Ovviamente. Mica frequento gente antipatica io! A parte te!

–         Gne gne gne…scemo!

Mi piace prenderti in giro e nascondere quello che giorno dopo giorno sta nascendo in me. Ho solo paura di fare un passo in avanti, perché non so quello potrei trovare sulla mia strada. Non voglio soffrire di nuovo, non così presto e non a causa tua Giulia.

23. FACEBOOK ERGO SUM

C’è una sola legge a cui credo fortemente di questi tempi: se non sei su Facebook non esisti.

Lo so, sono esagerato e categorico. Rispetto e capisco perfettamente quelli che odiano i social network o non provano alcun interesse verso l’argomento. Confesso di essere un Facebook addicted dichiarato e non ancora pentito. Passo ore e ore a fare inutili test, a cercare amici che non vedo dalle elementari, ragazze di cui ero segretamente innamorato al liceo o all’università e persone che ho conosciuto appena due giorni prima.

Ma da quando Clelia mi ha lasciato, sono stato capace di superare la sottile linea di separazione tra la dipendenza e la mania.

Ho cominciato ad aggiungere gente che non ho mai conosciuto!

Persone con interessi in comune, amiche di amici che hanno una bella foto nel profilo, gente iscritta agli stessi inutilissimi gruppi a cui sono iscritto io.

In questo enorme calderone di volti e nomi sconosciuti, c’è chi non accetta la tua amicizia (giustamente), chi ti aggiunge per gentilezza e curiosità ma dopo pochi giorni ti elimina dai contatti e chi ha un disperato bisogno di amicizia proprio come te e nel giro di poche ore fissa un appuntamento per passare dal virtuale al reale.

Giulia l’ho pescata in un gruppo di napoletani che vivono a Milano. Noi Pulcinella emigrati in Padania siamo come i cinesi. Facciamo comunità nel giro di poco, creiamo una fitta rete di relazioni sociali, commerciali e sentimentali e con un po’ di fortuna nel giro di pochi mesi ci troviamo una fidanzata napoletana nel letto e la mozzarella in casa tutti i giorni. Siamo provinciali e campanilisti anche quando fuggiamo via da Napoli.

E allora meglio sfruttare il fattore N. Quanti poveri napoletani con la nostalgia di casa ci sono a Milano? Uniamoci e proviamo a sentirci meno soli, usiamo la nostra malinconia come punto d’incontro per stringere nuove amicizie.

Giulia non è stata una di quelle che accettano le friend request alla cieca. Non tutti sono così perversi come me da dire di sì a ogni nuovo contatto. Lei ha voluto prima scoprire chi fossi e come mai le avessi mandato una richiesta d’amicizia.

GIULIA:  Chi sei?

DIEGO:  Song’ nu pazzo! Scherz. Ho trovato il tuo contatto sul gruppo dei napoletani a Milano. Più ne siamo meglio è, no?

GIULIA: Hai perfettamente ragione! Piacere di conoscerti.

Giulia ha 29 anni e lavora nel campo delle pubbliche relazioni. Anzi, lavorava. Dopo aver dato uno sguardo al mio profilo, guarda caso, si sofferma su un aspetto ormai non più rilevante della mia vita.

G.:  Ma sei un Copywriter?

D.: Lo ero…

G: Come lo eri?

D: Lunga storia…ho cambiato lavoro qualche mese fa, ma ho fatto una stronzata. Mi chiedi se sono un Copywriter? Sì, vorrei ancora esserlo. Ma al momento non lo sono e da buon napoletano scaramantico, preferisco far finta che non lo sarò mai più.

G: Mi spiace…cmq, te lo chiedo perché tra un po’ cambio lavoro.

D: E che lavoro vai a fare?

G: L’account in un’agenzia di pubblicità. Puoi dirmi cosa mi aspetta?

Un incubo! La pubblicità torna a bussare alla mia porta in tutti i modi. Con 10000 lavori esistenti a questo mondo, ti pareva che non andavo a beccare quella che lavora in un’agenzia e che per giunta fa anche l’account, che è il ruolo storicamente più detestato dai creativi. C’è poco da fare, quando è destino è destino.

Giulia è una valanga di parole e di buoni propositi. Basta fare un giro tra le sue foto, studiare i gruppi a cui è iscritta, gli artisti di cui è fan e ti rendi conto che questa ragazza è un vulcano in eruzione.

Da buona P.R. (anzi, ex P.R.), in 3 anni di vita milanese ha conosciuto tantissime persone e ogni sera ha sempre una serata particolare o un concerto da proporre ad amici e facebook conoscenti. E’ proprio quello di cui ho bisogno ora. Un vulcano che mi sputi lava addosso, che mi carichi la molla nei momenti in cui sono a terra, che mi faccia correre dall’eccitazione. Una che mi sappia far ridere ogni istante, con cui si possa parlare liberamente senza dover prima misurare la quantità e la qualità delle parole da usare. Una ragazza con cui sentirmi libero.

La mia tenacia nella ricerca di contatti tra facebook e le chat è stata finalmente premiata. Ho finalmente trovato una persona degna di essere conosciuta e scoperta volta dopo volta, un’amica che in 5 minuti riesce a svoltarti una serata o una giornata storta.

Giulia è il pepe che mancava in questo momento insipido e incolore.

Ma Facebook è come la vita. Facebook dà, Facebook toglie.

Nello stesso momento in cui, tramite il tanto discusso social network riuscivo ad allargare il giro delle mie conoscenze, scoprivo qualcosa che non avevo nessuna voglia di scoprire.

Guai a far lavorare troppo la mente quando si ha a disposizione un mezzo così potente tra le mani. Basta fare un paio di collegamenti, incrociare un paio di contatti e la frittata è fatta: scopri quegli altarini che sarebbe stato meglio non svelare mai.

E’ attraverso facebook che ho scoperto la verità sulla fine della mia relazione con Clelia.

Dopo un paio di mesi dalla fine della nostra storia, ero curioso di sapere se per caso stesse frequentando qualcun altro.

Le foto su facebook in cui appariva truccata e curata come non mai, mi facevano sospettare che qualche altro ragazzo fosse già entrato nella sua vita o che lei fosse alla ricerca di un compagno. E poi la conosco troppo bene per immaginarmela sola per troppo tempo.

Mi è bastato fare un paio di domande al marito di sua sorella per scoprire il nome della persona che stava frequentando, da lì alla scoperta della cruda realtà il passo è brevissimo.

Digito il nome di questa persona e scopro che abbiamo un’amica in comune. Spulcio per bene il profilo di quest’amichetta in comune e tra le 1000 foto scopro una foto in cui c’è anche il famigerato individuo che ha preso il mio posto nella vita di Clelia.

Dal link dell’album in cui si trova la foto, finisco su un album di foto di questo stronzo. Come posso chiamarlo altrimenti?

Vedo la sua faccia sorridente, da tipico chi attillo napoletano (l’equivalente del fighettino milanese e del pariolino romano) e foto dopo foto ecco arrivare Clelia sorridente accanto a lui in una foto del 16 gennaio.

Scorro la pagina per vedere se c’è qualche commento e scopro un commento di Clelia:

Grazie per non avermi taggato. Sei stato di parola!

Ma che brava! Dopo neanche una settimana dalla fine della nostra storia già uscivi con un altro. Cerco vanamente di non andare avanti con la fantasia. Ma purtroppo ho già capito tutto. Hai cominciato a frequentare questa persona subito dopo avermi lasciato e per non farmi star male hai cercato di non lasciare tracce in giro. Come se nel 2009, nell’era di facebook e della tag selvaggia, ci volesse tanto a scoprire certe cose.

Un dubbio atroce mi passa per la testa.

Continuo a scorrere le foto ed eccovi di nuovo insieme, questa volta in un gruppo di altre persone. La data è il 2 gennaio. Ma il 2 gennaio stavi ancora con me! A questo punto tutto cambia. Cambia l’idea che avevo di te, l’immagine dolce e di donna matura che mi ero costruito. In un attimo sei riuscita a cancellare i ricordi di due anni e mezzo d’amore. Pensando a te non penserò mai più agli attimi di dolcezza vissuti insieme, ai nostri segreti, ai nostri sogni durati troppo poco.

Da adesso in poi pensando a te riuscirò solo a ricordarmi questo: mi hai lasciato quando il primo idiota fighettino del cazzo ha cominciato a farti la corte. Mi hai lasciato non appena hai trovato il modo per rimpiazzarmi e non hai avuto neanche il coraggio di dirmi come stavano le cose.

Piango di fronte al pc e sento lo stomaco contorcersi dalla rabbia. Non ho mai provato tanto odio in vita mia e mi maledico per aver trascorso tutto quel tempo accanto a te.

Ti ho amato fino a sognare di metter su famiglia con te, ma da oggi in poi per me sei morta. Perché uccidere il tuo ricordo è il modo più semplice per liberarmi definitivamente dell’amore che ti ho dato.

22. MILANO- TORINO- MILANO- NAPOLI

Sono in viaggio verso Torino.

Mi sono svegliato alle 8 di mattina dopo un venerdì di bevute terminato all’alba. Non so nemmeno cosa ci faccio su questo cazzo di treno. A cosa serve continuare a farsi del male così? Mi sono ripromesso che questa è l’ultima volta. La nostra ultima chance. La tua last chance Martina.

Se anche stavolta non mostrerai nessun segno di interesse nei miei confronti, allora alzerò bandiera bianca una volta per tutte.

Non puoi continuarmi a illudere così. Non me lo merito. Non è giusto prendere per il culo una persona che per così tanto tempo è stata perdutamente innamorata di te.

Guardo fuori dal finestrino e penso che sarebbe bello se stavolta le cose andassero per il verso giusto.

Perché non può accadere un piccolo miracolo? Perché non arriva una benedetta scossa a cambiare la situazione in cui mi trovo?

Non vuoi essere tu la mia rivoluzione Martina?

Sto cercando disperatamente una risposta a questo momento. Sto impazzendo tentando di dare un senso a quello che mi è successo e voglio disperatamente credere al destino. Voglio pensare che non sia accaduto nulla per caso e che se c’era una lezione di vita da imparare io possa impararla in fretta.

Ma chi voglio prendere in giro?

Hai solo 20 anni e un mucchio di problemi per la testa. Probabilmente non sai neanche badare a te stessa e non hai idea di come superare certi ostacoli. Ma si può sempre darsi una mano a vicenda. E’ una vita che ti cerco e ti aspetto e ora sono stanco di aspettare.

 

Scendo dal treno e come al solito il cuore va per i fatti suoi. Potremmo ripetere la scena altre mille volte, non cambierebbe nulla. Indossi un basco grigio e un cappottino blu, hai sulla bocca del rossetto o del lucidalabbra alla frutta. Sono labbra fatte per essere baciate quelle, labbra che non aspettano altro.

–         Benvenuto a Torino!

–         Grazie tesoro. E’ da molto che aspetti? Il treno ha fatto un po’ di ritardo. – ti abbraccio cercando di rubare il tuo odore.

–         No, sono appena arrivata.

–         Dove mi porti di bello?

–         C’è una mostra sull’antico Egitto alla reggia di Venaria. Ti va?

Mi va? Ma ancora non l’hai capito che a me interessa poco di quello che facciamo e di dove siamo. Puoi portarmi anche a una mostra sulla storia dello stuzzicadenti dalla Mesopotamia ai giorni nostri. Accanto a te diventerebbe interessante anche una cosa del genere. Mi basta starti accanto, respirarti e guardarti. Mi basti tu.

–         Perfetto. Andiamo alla mostra  e poi facciamo un giro per Torino?

–         Sì, tanto prima di stasera non scappi giusto?

–         E chi scappa?

–         Però potevi restare a dormire da me. Così uscivi con me e i miei amici stasera e domani facevamo un altro giro con calma.

Dormire di nuovo accanto a te? Mi vuoi così male da volermi concedere il bis della nottata post concerto? No, grazie.

–         Hai ragione, ma domani ho degli impegni a Milano. Sarà per la prossima volta.

 

Giriamo tra teste mozzate di faraoni, utensili e monetine ritrovate in qualche posto lontano. Giriamo tra secoli di storia e cultura. Quante vite ci sono negli oggetti raccolti in un museo? Quante mani hanno lavorato la pietra, quante famiglie hanno usato gli utensili nella vita di tutti i giorni?

Riesci ad appassionarti per qualsiasi cosa e a trovare il bello ovunque. Poche ragazze riescono a interessarsi di medicina, scienza, arte, letteratura, storia con lo stesso entusiasmo che hai tu. Starti accanto e sentirti parlare è respirare vita, fare un giro infinito in tutta la bellezza che c’è nel mondo.

Mi metti voglia di vivere, di cambiare, di riscoprirmi. Se solo non fossi così follemente attratto da te potresti essere la mia migliore amica. Ma non mi basta, non mi potrà mai bastare.

E ancora non ho capito se questo lo sai o fai finta di non saperlo.

Passeggiamo nel parco della reggia, in una giornata tipicamente primaverile.

–         Sai, dopo aver trascorso gli anni delle mia adolescenza a desiderare di morire e a farmi del male da sola, sono dovuta ripartire dalle piccole cose per riprendermi la vita. Passeggiare in un parco, chiacchierare con un vecchio amico, andare a una mostra. Oggi sento dentro una voglia di vivere che mai avrei immaginato…

–         E’ così bello sentirti dire certe cose. A volte cerco di farmi coraggio e di pensarla come te. Se solo avessi qualche anno in meno, sarebbe tutto diverso.

–         Ma perché? Non sei mica vecchio?

–         No, ovvio che non sono vecchio. Ma sai, è strano ma a 27 anni vedi le cose in modo molto diverso da come le vedi a 20. Anche io quando avevo la tua età stavo messo male, ero incazzato con il mondo e mi faceva schifo qualsiasi cosa. Ma avevo la speranza a mandarmi avanti, la forza dei sogni. Oggi faccio davvero fatica a sognare. Non ci riesco più.

–         Secondo me tu sei capace perfettamente di sognare. E’ solo che non vuoi vedere le infinite possibilità che hai di fronte a te.

 

In questo momento ne vedo solo una di possibilità. E sei tu. Sei la mia unica possibilità, l’unica ancora di salvezza e so che non è giusto. Ti sto usando ancora una volta e inutilmente. Non posso aspettarmi nulla da te, tantomeno la redenzione dai miei errori e dalla mia immaturità. Hai 20 anni e riesci a farmi lezioni sulla vita e a dirmi parole di una saggezza incredibile. Hai 20 anni e sembri averne capito più di me di questo mondo. Le differenze si annullano, si capovolgono e si aprono nuovi scenari.

–         Hai ragione, ci sono cose che non posso fare a meno di sognare. Cose che sogno da una vita, eppure non si realizzano mai. E allora mi chiedo se forse non è meglio accontentarsi, fare come tutte quelle persone che non si pongono tante domande e vanno avanti felici e sereni. Non vorresti essere anche tu come loro Martina?

–         Non puoi desiderare di essere quello che non sarai mai. Sei fatto così. Sei uno stupido sognatore e allora? Che c’è di male? Sognare non costa nulla. E poi la banalità e la normalità sono così noiose. Non è meglio essere come noi? Essere dei diversi? Abbiamo un dono non trovi?

 

E allora perché sento questo dolore dentro quando ti guardo? Perché mi si contorce lo stomaco all’idea che tra qualche ora ti saluterò e sparirai per chissà quanti giorni o settimane?

Vorrei dirti che non ce la faccio a starti accanto così, che sto male se non posso averti. Ma in fondo farei solo l’ennesimo errore e mi sbatterei in faccia un’altra porta.

Ti sogno da anni, ma abbiamo appena cominciato a conoscerci sul serio. E’ la prima volta che mi apri il tuo cuore, che mi dici cosa ne pensi di me e com’è il tuo modo di vedere la vita.

Tabula rasa.

Abbiamo appena cominciato ad avvicinarci, non posso pretendere che tu sia innamorata di me o che voglia passare di già dall’amicizia ad altro.

Ho bisogno di calma. Devo lasciare che le cose vadano avanti così, aspettare con pazienza un altro incontro e poi un altro ancora. Nulla mi vieta di sperare e di credere al miracolo. Forse è solo questione di tempo e in questo momento non voglio e non devo correre.

Passeggiamo tra le strade della tua città.

Ti ho immaginato tante volte sotto quel cielo grigio, in una città che ha la fama di essere triste e spettrale. Ti immaginavo alle prese con i tuoi problemi e le tue paure e mi chiedevo come trascorressi le tue giornate.

Chissà come è entrato l’amore nella tua vita?

Vorrei sapere di più sulle tue storie, sapere se i ragazzi con cui sei stata ti hanno amata davvero come meriteresti.

So che è inutile chiederti certi particolari. Su certi argomenti sei muta come un pesce. Preferisci parlare d’altro. Di quello che ami leggere, di quello che ti piace fare nel tempo libero o quando esci con gli amici.

Hai difficoltà a capire i sentimenti e ad esprimerli. Lo vedo e lo sento ogni volta che ci incontriamo.

Come posso fare per farti sciogliere? Se esiste una parolina magica per entrare dentro di te dimmela. Dimmi se esiste un modo per farti abbassare la guardia, per capire cosa ti passa per la testa e cosa senti.

Siamo sulla riva del Po. Guardiamo il lento scorrere dell’acqua, rilassante e ipnotico. Oggi Torino è davvero bella, molto più di come la ricordassi.

E’ diversa da Milano. Riesce a mantenere ancora un sapore di antico, una faccia tranquilla e serena. Non si respirano la fretta e l’ansia tipiche di Milano.

–         Allora, cosa hai deciso di fare con il lavoro?

–         Sto cercando di rientrare nel mondo della pubblicità. E se non ci riesco, vorrei fare quanto meno un lavoro che abbia un minimo a che fare con quello che ho studiato e fatto nella mia vita.

–         E’ giusto. Come ti è saltato in mente di voler fare un lavoro in cui avevi a che fare ogni giorno con numeri, fatture e roba simile? Come se non ti conoscessi…

–         E infatti non mi conosco Martina. E’ in questo periodo che sto cominciando a capire veramente chi sono e cosa voglio. E’ quando tocchi il fondo e perdi tutto ciò che avevi che ti rendi conto di chi sei e apri finalmente gli occhi.

–         Ma non hai mai pensato di metterti a scrivere? So che te la cavi abbastanza bene. Ho letto le tue poesie sul tuo blog un po’ di tempo fa.

–         Peccato che in Italia ci campino sì e no in dieci con la scrittura. Purtroppo non è un lavoro fare lo scrittore. Lo è solo per pochi eletti fortunati e dotati di grande talento. E comunque non credere che non ci abbia mai pensato.

 

Ci ho pensato eccome.

Tre anni prima avevo scritto un romanzo di formazione in cui la protagonista femminile aveva le sembianze e il carattere di Martina. La sua figura mi aveva così tanto impressionato e ammaliato da accendermi dentro un fuoco.

E così mi misi a scrivere. Scrivevo ogni notte prima di andare a dormire. Scrivevo e immaginavo Martina alle prese con i suoi dolori, l’incontro con il primo amore, la rinascita e la voglia di tornare a vivere sul serio.

Scrissi 200 pagine in 3 mesi.

Quel libro è rimasto in un cassetto. Non ho mai avuto il coraggio di spedirlo in giro, perché non ho mai pensato di avere un vero talento per la scrittura. E poi temevo troppo il rifiuto, l’idea di sentirsi dire di no da ogni casa editrice.

Ma soprattutto non volevo che Martina lo leggesse.

Ora mi chiedi se abbia mai pensato di mettermi a scrivere. Cosa dovrei risponderti? Dovrei dirti che ho bisogno di un calcio nello stomaco pari a quello che mi hai dato tu tre anni fa?

–         E allora perché non scrivi? Anche solo per il gusto di farlo. Se poi riesci a pubblicare e a vendere, tanto di guadagnato.

–         Dovrei farlo…ci penso sempre, ogni giorno…sto solo cercando l’ispirazione e forse l’ho appena trovata.

Ti guardo negli occhi e sorrido. Rivedo le tue guance rosse e so che hai capito di cosa sto parlando. Sai che per me sei la più grande ispirazione e che se c’è qualcuno in grado di accendermi dentro emozioni tanto forti da doverle sfogare su carta, quella sei tu.

Torniamo verso la stazione e mi sento fiero di me. Non ho cercato di baciarti e ho evitato di saltarti addosso. Mi sono goduto una giornata di riflessioni e amicizia e mi basta questo. So di volerti, ancor più di prima. Ma so che non posso averti, non ora, non così. Oggi abbiamo fatto un altro passo in avanti, ci siamo donati un altro pezzo della nostra anima.

Sarai mia Martina. Deve essere così.

 

Mentre sono sul treno per Milano provo la solita tristezza e il senso di vuoto che ho ogni volta che ti saluto. Mi chiedo quando sarà la prossima volta che ti rivedrò. Con te è tutto sempre imprevedibile. Potresti riapparire tra due giorni, una settimana, un mese o sparire del tutto.

Squilla il cellulare. E’ Davide, un amico storico che conosco dai tempi del liceo. Davide vive a Milano da pochi mesi, ha trovato lavoro in una società informatica dopo aver vagato inutilmente per le aziende napoletane per due anni.

–         Dove cazzo sei?

–         Ciao Davide! Sono in treno, sono stato a Torino.

–         A Torino?

–         Sì, sono andato a trovare un’amica.

–         Non mi dire…Martina?

–         Sì, lei…

–         Martina la ex di tua cugina? Quella mezza pazza che ha tentato il suicidio e soffriva di anoressia?

–         Proprio lei coglione.

–         Te l’ha data?

–         Stai zitto idiota. E’ una lunga storia.

–         Ho capito, ho capito. Ti conosco troppo bene. Chiamami appena sei in stazione a Milano, andiamo a bere qualcosa e mi racconti.

Temo fortemente il suo giudizio. Davide mi conosce troppo bene per non rinfacciarmi la mia passione per Martina e per non farmi notare alcune coincidenze ricorrenti nella mia vita. So già cosa mi dirà e non ho nessuna voglia di sentirlo.

 

Scendo dal treno, dopo due ore infinite di viaggio passate a masturbarmi il cervello con canzoni sentimentali sparate a mille dal lettore mp3.

Davide mi aspetta alle Colonne di San Lorenzo. Due passi, una birra e tante chiacchiere per ricordare il passato, analizzare il presente e distruggere il futuro. Ho paura!

–         Allora? Che cazzo sei andato a fare a Torino? Ma almeno un bacio te l’ha dato?

–         Magari…

–         Noooo! Ma non ci perdere tempo. Tanto non ne vale la pena.

Un Euro per ogni persona che mi ha detto questa frase negli ultimi mesi e a quest’ora sarei ricco e avrei risolto il problema lavoro.

–         Lo so che non ne vale la pena. Però…sai come sono fatto. Mi conosci da una vita.

–         Sì, ma non hai più 16 anni. All’epoca te le concedevo certe cose. Ora basta, non puoi continuare così.

–         Ma non ci posso fare niente. Per quanto sappia che forse mi sta solo prendendo in giro e che difficilmente ci sarà qualcosa tra di noi, ho desiderato troppo passare del tempo con lei per non sfruttare la breve distanza che ci separa ora. E poi siamo entrambi single da poco…

–         E allora? E’ anche peggio di quel che sembra. Guarda caso, ti ha contattato proprio dopo che il ragazzo l’ha mollata. Strana coincidenza non trovi?

–         Che vuoi dire? – faccio il finto tonto ma so benissimo a cosa si riferisce. Il pensiero ha sfiorato la mia mente sin dal primo momento.

–         Voglio dire che sai meglio di me come sono fatte le donne. In certi momenti hanno bisogno di sentirsi corteggiate. E guarda caso, lei ha chiamato proprio te.

–         Già…lo stupido cagnolino obbediente sempre pronto a correre da lei e a riempirla di complimenti.

–         Esatto. E ti devo rinfrescare la memoria?

–         No! Ti prego, non tirare fuori la storia di Elena. Per me quella è preistoria.

–         Sarà pure preistoria, ma le coincidenze sono inquietanti. Cazzo, non puoi perdere la testa per ogni ragazza problematica che incontri. Hai buttato gli anni migliori per star dietro a Ele. E guarda caso, anche lei era anoressica e con il cervello schizzato. Ma ti piacciono così tanto le malate di mente?

–         Non sono malate di mente…non più di quanto non lo sia io. Sono semplicemente diverse, fuori dal comune. E a me la normalità sta sul cazzo, da sempre. Ora più che mai lo capisco. Non voglio la banalità, voglio la follia e l’originalità nella mia vita e se questo significa avere a che fare con ragazze come Martina, Amen!

–         Bah…ma Clelia com’era? Io non l’ho mai conosciuta.

–         Anche lei aveva le sue belle scimmiette in testa…però nulla a che vedere con Elena e Martina. Tra le varie pazze che ci sono state nella mia vita, era la pazza più normale.

–         Ma perché a noi due non è andata come ad alcuni dei nostri amici di classe? Fidanzati dai tempi del liceo e ora a distanza di 10 anni stanno quasi per sposarsi. Beati loro!

–         E che palle! La tipica mentalità napoletana. Il matrimonio come fine ultimo della vita. Ma tu davvero li invidi? Cazzo, non hanno mai avuto modo di vedere cosa c’è fuori dalle loro quattro stupide mura. Non si sono mai chiesti se è davvero la migliore delle situazioni possibili quella in cui si trovano intrappolati da 10 anni. Io non voglio accontentarmi, non lo farò mai!

Non è possibile che esista ancora questo modo di ragionare. E’un virus radicato nell’anima dei napoletani da cui è quasi impossibile liberarsi. Unico obiettivo: un rapido matrimonio. Quanta gente ho visto rovinarsi con questa fissazione. Coppie di ventenni sposarsi dopo 3 anni di fidanzamento, venticinquenni appena laureati che si sono accasati ancor prima di trovare lavoro, gente che per una vita intera è stata con la stessa persona accanto, stando male e restando in silenzio. Anche io sogno un matrimonio e ho gli incubi all’idea di restare da solo. Ma non ci si può sposare per legge e perché lo fanno tutti. Ci si sposa quando è il momento giusto per farlo e con una persona che si ama alla follia, non con la prima che si è mostrata disponibile. Ancora oggi, nel 2009, devo sentire mia madre che mi consiglia ipotetiche fidanzate solo perché sono brave ragazze. Ma ci si può fidanzare con una donna solo perché è una brava ragazza e sai che non ti romperà mai le scatole per nulla?

 

Davide ride e nonostante sia abituato da secoli alla mia filosofia di vita, ancora non se ne fa una ragione.

–         Bravo, non ti accontentare! Intanto loro hanno la ragazza, sono sereni e progettano un futuro.

–         Non me ne frega un cazzo del futuro Davide…non se prima non posso godermi il presente. Potrei morire domani o impiccarmi dopodomani. Voglio vivere ora!

 

Questo sono io.

Questo sono io.

28 anni da festeggiare in solitudine, tra lenzuola vuote e in disordine. Lenzuola che nessuno accarezza, da quasi un anno.

Questo sono io.

Sangue e lacrime, rabbia e pianto.

Scelte sbagliate, strade deviate, percorsi a ostacoli senza alcun punto di arrivo.

Questo sono io.

Il risultato di chi mi ha condizionato la vita, con la sua pochezza, la sua violenza, la sua mancanza di rispetto per l’infanzia…e oggi le conseguenze si vedono tutte, come cicatrici indelebili sull’anima.

Questo sono io.

Una famiglia allo sbando. Una madre con cui non parlo, un padre che mi ha suggerito la strada sbagliata. E il resto che è solo casino, paura e incertezza.

Questo sono io.

Una ragazza che mi illude da anni, senza chiarezza, senza pietà, senza dare nulla indietro per quest’amore che non ha senso e mai ce l’avrà.

Questo sono io.

Donne che attraversano la mia vita come fantasmi. Qualcuna mi sfiora appena, qualcuna vorrebbe entrare nel mio mondo. Ma alla fine nessuna riesce a farlo.

Questo sono io.

Amici che sanno solo dare consigli inutili e riempirti di serate tutte identiche tra loro. E dopo il 4 cocktail torni a casa con lo stomaco pesante e il cuore più vuoto di prima.

Questo sono io.

Un presente che non c’è. In un mondo in cui i miei coetanei cercano di preoccuparsi per il futuro, io lotto con le unghie e con i denti per avere almeno un cazzo di presente.

Questo sono io.

E tanto altro ancora…fuoco nelle vene, rabbia senza voce, guardare ma non toccare, giocare ma senza ridere, lottare senza vincere mai.

Questo sono io, oggi…

Auguri Peter Pan.

21. L’ALLIEVO E MARGHERITA

– Ero dentro di lei bambolina, mi stavo finalmente sfogando dalle frustrazioni accumulate in questi ultimi mesi e all’improvviso mi sono venute in mente loro.

– Loro chi? – a volte Margy perde colpi.

– Secondo te chi? Le mie nonne? Clelia e Martina!

– Wow…sei messo maluccio eh? Pensi a loro mentre fai sesso con un’altra. Ma almeno ti piaceva la tipa?

– A dire il vero no…

– E che ci sei uscito a fare allora?

– Devo pur cominciare da qualche parte. Lei è la prima ragazza che si sia dimostrata disponibile da quando Clelia mi ha lasciato.

– Si, ma non mi sembra che tu sia messo così male da doverti ficcare nel letto della prima che capita.

– Ma ne avevo bisogno Margy…dovevo distrarmi da tutto quello che mi sta capitando. Non ne posso più. Sabrina almeno mi ha fatto sentire desiderato.

– Ma la vuoi smettere di pensare che non puoi vivre senza una donna accanto?

– La fate tutti facile. Ma tu stai contemporaneamente con 2 ragazzi, Claudio salta da un letto all’altro e Andrea…beh, di lui è persino inutile parlarne.

– Ma perché ti devi sempre paragonare agli altri? Ok, io sono una stronza! Claudio sta attraversando una fase che mi auguro che prima o poi possa passare e Andrea non conoscerà mai quello che tu hai avuto la fortuna di conoscere più di una volta. Sto parlando dell’amore.

– Bella fortuna che ho! Guarda come mi ha ridotto l’amore. Sono così preso dal ricordo della mia ex e dall’inutile desiderio di Martina che non riesco neanche a godermi una sana scopata.

– E allora? Che problema c’è? Sei unico. Sai quante ragazze ci sono lì fuori che sognano di stare con un idealista come te? Sei uno che non si accontenta, che sogna ancora il grande amore.

– Ma io sono stanco di essere così. Non voglio più sognare, non voglio più star male per amore.

– Senti, ma perché non chiami Martina? Non vi siete più sentiti dalla sera del concerto?

– Solo qualche messaggino.

– E che aspetti? Invitala a Milano. O vai da lei a Torino. E stavolta stai sereno. Rilassati e chiacchierate come due vecchi amici. Non prenderle le mani, non provarci. Vedrai che probabilmente sarà lei a crollare e a cercarti.

– E’ anche per questo che sto evitando di starle troppo dietro. Voglio che non mi dia troppo per scontato. Voglio che capisca che non starò ad aspettarla per sempre.

– Fai bene, falla friggere un po’. Però non esagerare, se hai voglia di vederla diglielo.

Questa sera, per cambiare, siamo andati in un altro locale. Uno di quei posti dove alla fine dell’happy hour ci si sposta in un’altra sala e si balla. Margherita muove il culo a ritmo di musica elettronica. Ha un corpo da favola. Seni piccoli ma ben fatti, gambe tornite e lunghe. Balla e vedo decine e decine di occhi posarsi su di lei. Le piace piacere. Sa di poter avere gli uomini ai suoi piedi e gode terribilmente quando si sente al centro dell’attenzione. Quando è venuta a vivere a casa nostra è stata dura non perdere la testa per lei. Per fortuna c’era già Clelia, altrimenti sarei stato l’ennesima vittima della sua straordinaria bellezza.

20. UN GIRO AL MERCATO

E allora proviamo a imitare Andrea fino in fondo.
Se un gay riesce a trovare tanto divertimento nelle chat, chissà che non possa capitare anche a un etero disperato come me.
Mi iscrivo a tutti i siti gratuiti di incontri, compilo svogliatamente il mio profilo senza espormi troppo e carico un paio di foto in cui la mia faccia non abbia la solita espressione da idiota tossicodipendente. Proviamo a fare un giro in questo mercato del sesso e vediamo come funziona.
Nei siti di incontri esistono anche i motori di ricerca.
Seleziono l’età: dai 18 ai 35 (tutto fa brodo e in questo momento tra una diciottenne con gli ormoni impazziti e una trentacinquenne allupata non saprei scegliere).
Seleziono solo i profili della città di Milano e lascio perdere tutte le altre opzioni. Bionda, mora, rossa, atea, single, fidanzata, bisex, cattolica, pudica, troia. Va bene tutto. Non ho pretese in questo periodo della mia vita. Per una volta voglio lasciarmi andare senza chiedere troppo all’altro sesso.
Mi contatta una certa Sabrina.
Sfoglio velocemente la sua scheda. Ha 34 anni, vive a Milano e fa la segretaria in uno studio di avvocati. Dalle cazzate che scrive non mi sembra particolarmente colta e a giudicare dalle foto neanche particolarmente bella.
Ma sembra una di quelle che ci stanno subito e che non fanno tanti giri di parole.
Sei carinissimo!
Chi io?
Sì tu. Allora, quando mi porti fuori per un aperitivo?
Quando vuoi. Tanto al momento di tempo libero ne ho parecchio.
Lunedì sera ci sei?
Certo. Lunedì sera alle 20 a Piazza Wagner?
Perfetto! Mettiti la camicia mi raccomando.
Perché, le t-shirt ti fanno schifo?
No. Ma gli uomini in camicia sono un’altra cosa.
Se ti accontenti di così poco mi metto pure la cravatta.
Ahah. No dai, non esageriamo. Va bene la camicia.
Zì badrona.

Lunedì sera. Arrivo con netto anticipo come al solito. Sono l’unico napoletano vivente che arriva puntuale agli appuntamenti. Cammino nervosamente fuori la metro di Piazza Wagner. Non ho motivo di essere agitato. Non mi aspetto nulla da questo appuntamento e poi Sabrina non mi fa particolarmente impazzire.
A dire il vero non mi piace neanche, ma ho bisogno di distrarmi e di fare esperienza. Devo imparare nuovamente a muovermi con le donne, a corteggiarle, a farle ridere. E in questo momento una trentaquattrenne zitella che non aspetta altro che essere corteggiata è la cavia ideale.
Arriva con un quarto d’ora di ritardo. Era prevedibile che si facesse aspettare.

Ciao Diego! Complimenti per la camicia.

Hai visto? Sono di parola. E per l’occasione l’ho persino stirata. Cioè, in realtà l’ho fatta stirare alla lavanderia cinese sotto casa.

Ahahahah! Che simpatico che sei! Mi fai morire!

No, no, non voglio avere cadaveri sulla coscienza.

Che scemo! Comunque complimenti, dal vivo sei ancora più carino.

Grazie. Anche tu…

Che bello mentire ogni tanto. Sabrina non è per niente carina. Ha la pelle segnata dall’età e per me che adoro la pelle liscia, bianca e delicata da ragazzina è dura guardarla negli occhi.
Ci sediamo in uno dei bar fighettini della zona. Sabrina indossa una minigonna di pelle e le calze a rete, una camicia bianca scollata che mette in bella mostra un seno pompato a regola d’arte dal push up. Ha un rossetto di un colore improbabile sulle labbra. Uno di quei rossetti tamarri che indossano le ragazzine dei quartieri di Napoli.
Sembra un mix tra un aborto di Anna Tatangelo, una cantante neomelodica e un trans.
Che cazzo ci faccio qui?

Allora? Raccontami qualcosa di te Diego, in chat sembravi così riservato.

Non sono riservato, è che in questo periodo non c’è molto da dire.Attualmente non lavoro e passo le giornate a mandare curriculum. Ho lavorato per un anno e mezzo in pubblicità e mi piacerebbe tornare nell’ambiente. Sono single da poco e non ho nessuna voglia di accasarmi di nuovo.

Fai bene, non c’è fretta. Io ho 34 anni e sento di avere tutto il tempo davanti.

E chi vuoi che ti creda tesoro? Si vede lontano un miglio che sei disperata. Sei qui a bere birra con uno che sembra il tuo fratellino minore solo perché nessuno ti vuole.

–    E come fai a mantenerti a Milano senza lavorare?
–    Mi nutro di sogni.
–    Dai, sul serio…
–    Rubo i soldi di mio padre. Lo so, sono una merda.
–    Beh, se puoi permettertelo, per qualche mese si può fare…
–    Ecco appunto, per qualche mese…peccato che i mesi stiano volando via e il mio tempo stia per scadere. Il call center mi aspetta.

Passo la serata a fare battute di una stupidità imbarazzante che per qualche strano motivo la fanno morire dal ridere. E’ più stupida di quanto credessi. Sono quasi tentato dal mollarla qui e tornarmene a casa a piangere ascoltando canzoni d’amore.
Ma Sabrina è rapida, affamata e diretta. Non ti lascia il tempo di pensare e avere dubbi.

Senti…se ti va possiamo andare da me a vedere un film. Abito in zona e vivo da sola…

Finisco di bere il mio Daiquiri Frozen e intanto mi faccio mille seghe mentali in dieci secondi e rispondo con la prima cosa che mi viene in mente.

Molto volentieri. Tanto domani IO non devo lavorare.

Io sì. Ma stasera faccio volentieri tardi.

San Gennaro aiutami tu! Sono finito nelle mani di una ninfomane di 34 anni. So già che finirà male.
Saliamo a casa sua. Un minuscolo monolocale ordinatissimo e ben curato. La ragazza ha gusto, almeno in fatto di arredamento.
Apre un cassetto e tira fuori una ventina di dvd.

– Original sin? Che ne dici?

Dico che sei una porca.

– Quello in cui la Jolie si fa scopare per due ore da Banderas? Ottima scelta, però poi non ti spaventare se mi eccito.

– Buono a sapersi allora. Lo metto subito.

Il film parte, con le labbrone di Angelina che occupano mezzo schermo e lo sguardo da depravato di Banderas che fa riscaldare la già affamata Sabrina.
Dopo venti minuti di silenzio, in cui fingiamo di essere interessati a quel cazzo di film, Sabrina si avvicina e si stende con la testa sulle mie gambe.
Mi guarda e sorride con malizia. Sento i pantaloni gonfiarsi leggermente, quel poco che basta per far capire che ho apprezzato il gesto. Allunga la mano e comincia a toccarmi in mezzo alle gambe, va su e giù con quella mano rugosa. Vedo le sue unghie rosso fuoco graffiarmi la zip dei jeans.
So già dove poterà tutto questo.
Tira giù la zip e mi abbassa i pantaloni. Sfila via i boxer e giocherella con il mio amichetto. Se lo passa tra le mani e lo graffia con quelle schifosissime unghie.
Chissà come ho raggiunto una discreta erezione. Di solito con una donna di fronte che non mi piace per niente non mi eccito neanche di mezzo millimetro. Non sono di quelli che basta che respirano e ci faccio qualsiasi cosa. Sono un viziato, un esigente. Voglio classe e dolcezza, stile e sensualità raffinata.
Sabrina si fa scivolare il mio cazzo tra le labbra e quando stacca la bocca vedo i segni del suo rossetto orrendo un po’ ovunque.
La lascio fare per un po’, vedendo dove vuole arrivare.
Dopo qualche minuto di su e giù con la bocca, si siede sulle mie gambe e mi sbottona la camicia che ha tanto voluto.
Con quelle maledette unghie si diverte a farmi piccoli graffi sul petto e sull’addome. Poi si riabbassa e continua a giocherellare con la bocca.
E’ il momento di tirare fuori le palle, di prendere l’iniziativa e di far vedere chi è che comanda.
La spoglio con foga e la faccio mettere a quattro zampe. Ora sfogherò su di te quattro mesi di astinenza e solitudine. Voglio diventare proprio come Claudio. Niente passione, niente domande, niente sentimento. Solo sesso in quantità.
Ti entro dentro con rabbia, godendomi le tue urla fastidiose. Dopo pochi secondi ti dimeni e fai gridolini come se stessimo scopando da ore. Sembri una di quelle che fingono per far contento l’uomo che hanno di fronte. Una di quelle che per far sembrare reale una scopata devono metterci gli effetti sonori.
Chiudo gli occhi e cerco di non pensare, di lasciarmi andare alle sensazioni e all’eccitazione.
Non devo pensare, non devo pensare, non devo pensare!
Se lascio partire il cervello è la fine, so già cosa può accadere.
Vedo Clelia che mi sorride dopo aver fatto l’amore.
Vedo Clelia che si stende sul mio petto e mi bacia, mi guarda dritto negli occhi ed è felice.
Vedo Martina seduta sul divano di casa mia, con le guance arrossate e un sorriso imbarazzato.
Vedo Martina che chiude gli occhi mentre cerco di baciarla e che dopo poco si allontana turbata.
Sono le donne che ho ancora nella testa, che mi dicono che non posso andare via. Appartengo a loro, in modi diversi e per ragioni sconosciute.
Non voglio pensare!
Sento le grida di Sabrina sempre più fioche. L’eccitazione si trasforma lentamente in quiete. Tutto tace nella stanza. Tutto tace tra le mie gambe.
Mi stacco da lei e mi siedo sul divano sudato e incazzato. Lei mi guarda triste e perplessa.

Scusami Sabrina…

Ho fatto qualcosa che non dovevo?

No, tu non c’entri niente.

E’ che non ti piaccio vero? Puoi dirlo, sono abbastanza grande per non offendermi.

– Non sei tu il problema, tranquilla.

Non potrei mai dirti la verità. E’ vero, non mi piaci. Ma se il mio stupido cervello non si fosse messo in mezzo come al solito, avrei scopato con te senza troppi problemi.

– Mi spiace…forse è meglio se mi rivesto e vado a casa.

19. L’ELOGIO DELLA FRIVOLEZZA

Ci sono giornate in cui non metto il muso fuori di casa. Mi stendo sul letto e col notebook sulle gambe cerco disperatamente contatti di direttori creativi, di agenzie pubblicitarie e invio curriculum per qualsiasi lavoro che possa avere a che fare con la comunicazione o con la mia tanto bisfrattata laurea.

Odio quando Andrea ritorna a casa dopo il lavoro. E’ sempre il primo ad arrivare, con quel suo sorrisino a 500 denti e quel suo modo di chiedere “Tutto bene?” tanto gentile quanto inutile.

Posso anche risponderti sì per educazione, ma sai benissimo che in questo momento non c’è un cazzo di niente che vada bene.

Puoi anche levarti quel tuo sorrisino dalla faccia e salutarmi senza chiedermi come sto. Non mi offendo mica.

Sono alle prese con l’ennesima mail di richiesta di colloquio che non avrà mai risposta.

Andrea bussa alla porta di camera ed entra sfoggiando due camicie quasi identiche che deve aver comprato da Armani o Calvin Klein.

Senza curarsi minimamente di come io lo ignori, si siede ai piedi del letto e col sorriso stampato in faccia me le sventola sotto il naso.

Si è sempre divertito a giocare con me sulle nostre differenze di gusto e stile in fatto di abbigliamento.

Io vesto ancora come un adolescente: magliette fosforescenti di H&M, t-shirt comprate nei miei vaggi all’estero o ai concerti, jeans vecchi e iperconsumati, camicette sgargianti e mai stirate.

Andrea non mette piede da Upim o Conpibel neanche sotto minaccia. Considera poveracci tutti quelli che non possono permettersi di fare shopping da Armani o CK.

Peccato che con quello che guadagna come commesso neanche lui potrebbe permetterselo in teoria. Ma se allo stipendio di 1000 euro ci aggiungi altri 1000 euro che i genitori gli danno tra affitto ed extra vari, capisci come sia semplice la vita per lui.

Lo invidio terribilmente.

Mi facevo tantissimi problemi quando ero arrivato a 900 euro di stipendio e riuscivo a limitare l’aiuto economico da parte dei miei al solo affitto. Con i restanti 900 euro riuscivo a fare tutto: vestirmi, mangiare, uscire e a volte persino a mettere qualcosa da parte.

Certo, non è che potessi concedermi molti lussi. Stavo sempre attento ai prezzi dei vestiti che compravo ed evitavo di superare certe cifre.

Con quello che io spendevo per comprarmi un pantalone e una maglia, Andrea ci comprava un paio di mutande da qualche sito internet americano.

L’ho sempre preso per il culo per il suo snobbismo in fatto di abbigliamento. E su questo ci ha sempre sguazzato, rispondendo ogni volta a tono e provocandomi di continuo.

Chi ci vede dall’esterno pensa che ci odiamo e che potremmo strangolarci alla prima occasione. In realtà non è così semplice la questione. Siamo due persone diverse, nei gusti e nell’atteggiamento nei confronti della vita.

Ma quando confrontiamo le nostre storie troviamo punti in comune inaspettati. Piccoli particolari che però fanno una grande differenza e ci permettono di trovare un punto di incontro.

Entrambi siamo cresciuti sorbendoci programmi tv assurdi gentilmente offerti dalle nostre madri.

Anche i ricchi piangono, Beautiful, Sentieri, Agenzia Matrimoniale.

Quando due persone ricordano perfettamente chi era il maestro Alessandro Alessandro*, non si può non amarsi a vicenda.

Abbiamo entrambi un amore smodato per tutto ciò che è trash: reality, liti tra starlette in qualche stupido talk show televisivo, pubblicità anni 80 con jingle terribili, meteore della tv che nessuno più ricorda e di cui noi due conosciamo vita, morte e miracoli.

Quando tiriamo fuori certi aneddoti dell’infanzia m viene in mente che forse ho rischiato di diventare gay anche io e ringrazio qualcuno lì in cielo perché ciò non è accaduto.

( * Nota per gli ignoranti: il maestro Alessandro Alessandro era il famosissimo pianista che intratteneva il pubblico nel programma tv Agenzia Matrimoniale).

Non è facile la loro vita. Non è semplice doversi accettare e farsi accettare. Andrea è fortunato, perché ha due genitori che lo amano alla follia e che gli hanno permesso di sentirsi libero di esprimersi e comportarsi per quello che è.

Molti gay non hanno questa fortuna. Devono nascondersi dagli sguardi della gente, dalle risatine, dai familiari razzisti e ignoranti.

Andrea è scappato dalla Calabria senza pensarci due volte. Troppo dolore nel non potersi mostrare per quello che era.

Qui a Milano è libero. La gente non fa caso a certe cose, nessuno si sconvolge se due ragazzi dello stesso sesso camminano mano nella mano per la strada.

Seduto ai piedi del mio letto, Andrea sventola le due camicette e cerca di attirare la mia attenzione.

–         Guarda, guarda…guarda come sono cangianti e toccale, senti la qualità del cotone. Per non parlare del taglio e delle sfumature dei colori.

–         Mmm…sì bravo…

–         Ma dai, guardale. Non sono frocissime?

–         Eh sì, degne di te…

Continua a sorridere, ignorando il mio totale disinteresse nei confronti di tutto ciò. Non capisce che c’è il momento in cui ho voglia di giocare alle amiche che prendono il tè e il momento in cui della sua frivolezza non so proprio cosa farmene.

–         Vuoi sapere quanto le ho pagate?

Ora gli metto le mani addosso sul serio.

–         NO! Non me ne frega un cazzo delle tue camicie di merda.

In questo momento non ho neanche i soldi per comprarmi una mutanda e tu mi vieni a sbattere in faccia la tua frivolezza. Vaffanculo!

Stavolta non va via col suo solito sguardo schifato da principessina di velluto offesa. Si vede che devo averlo ferito e che non si aspettava una reazione del genere.

–         Io non ti rispondo a tono perché sono una persona gentile…ma lasciatelo dire: sei pesante! Capisco il momento che stai attraversando e mi dispiace da morire, ma il minimo che tu possa fare è non prendertela con chi ti vuole bene e cerca di farti distrarre.

–         Ma a me non servono queste cazzate per stare meglio. Non è di superficialità che ho bisogno!

–         Dici? E allora fai come vuoi. Rinchiuditi in questa stanza con la porta chiusa e le persiane abbassate. Cazzo, sembri un vampiro, non fai entrare neanche l’aria e la luce del sole.

–         Senti Andrea non è giornata per favore…voglio stare da solo.

–         Come vuoi. Però la prossima volta ti prego di non rivolgerti a me in questo modo.

Va via sbattendo la porta. Stavolta ha fatto davvero centro. Ci provo e ci riprovo a sorridere e a guardare il mondo con ottimismo. Ma non ce la faccio proprio. E’ passato ormai un mese da quando ho lasciato il lavoro in azienda e ne sono passati tre da quando Clelia mi ha lasciato.

Da allora non è cambiato nulla. Nessuna proposta di lavoro, nessun colloquio degno di nota, nessun incontro interessante con persone dell’altro sesso.

Come faccio a essere ottimista e a guardare la vita con la stessa frivolezza di Andrea? Se lui si trovasse nella mia stessa situazione, se ne fotterebbe altamente. Passerebbe le giornate a prendere il sole al parco e a fare shopping in centro. Aspetterebbe con calma un nuovo lavoro, senza fretta e senza ansia.

Andrea ha lasciato il segno con le sue parole.

La notte mi addormento e mi tuffo in un sonno agitato e condito da un sogno che non ha bisogno di troppe analisi.

Sono sotto casa, fermo in automobile che aspetto qualcuno.

Sono rilassato e sembra quasi che sia lì per stare da solo e distrarmi. Steso sui sedili posteriori guardo fuori dal finestrino e vedo che per strada non c’è nessuno.

A un tratto vedo passare Alessandra, un’amica che frequentavo spesso ai tempi in cui stavo con Clelia.

Scendo dall’auto, la saluto e la invito a salire a casa.

Quando entriamo, Andrea ci accoglie in mutande e a stento rivolge la parola ad Alessandra.

Ale va in bagno a truccarsi, probabilmente ha qualche appuntamento e non ha fatto in tempo a prepararsi.

Dopo un po’ la vedo uscire dal bagno e non è più sola. C’è anche Clelia con lei. Non capisco, da dove è saltata fuori? Quando è entrata e chi cazzo l’ha invitata a casa mia?

Clelia cammina con lo sguardo abbassato. Non ci guardiamo mai negli occhi e non ci rivolgiamo la parola.

Andrea le blocca il passaggio e le rivolge la parola. Purtroppo non riesco a capire le sue parole. Ma in sogno come nella realtà, mi basta guardarlo in faccia per immaginare il tono del suo discorso. Le sta parlando con disprezzo e fastidio, quasi come se volesse incolparla per come mi ha ridotto e probabilmente non capisce con quale faccia tosta si sia presentata a casa nostra.

Clelia e Alessandra escono di casa senza salutarci.

Guardo la scena come se non fossi lì, come se tutto questo non mi appartenesse. Mi giro verso Andrea, che con aria schifata tenta di dirmi qualcosa su Clelia. Non capisco una parola, ma so che mi sta dicendo di lasciarla perdere.

Mentre parla non riesco a guardarlo in faccia, perché sono preso da qualcos’altro. Un lungo filo di cotone attorcigliato fuoriesce dai miei jeans. Cerco inutilmente di snodarlo o di strapparlo ma non ci riesco e intanto Andrea continua a farmi la predica su Clelia. Cazzo, quanto vorrei capire o ricordare le sue parole.

E’ un chiaro segnale quello che mi manda il mio inconscio.

Devi staccarti da lei se vuoi rinascere. Devi dimenticare il legame di dipendenza che avevi costruito con quella donna e fottertene del fatto che non ci sia più.

Tu puoi vivere senza di lei. Devi solo lasciarti andare e aprirti al mondo che c’è lì fuori. Tutto verrà da sé se ti lasci andare. Il lavoro, l’amore, nuove amicizie. Se non ti apri al mondo, il mondo non ti accoglierà mai a braccia aperte.

Ascolta la tua parte menefreghista e frivola.

Ascolta Andrea e lascia che le cose prendano la loro strada giorno dopo giorno.

16. L’ISOLA CHE NON C’E’ NON C’ERA

Il mare non ha più eco. Piango le mie lacrime sul lungomare della mia città. Lascio andare i pensieri e i dubbi che mi mangiano lo stomaco e il cervello.

Guardo questo mare che non ha più voce, che mi rigetta addosso lacrime di sale e silenzio.

Non sei più mia Napoli. La nostra è una storia d’amore nata male. Ci siamo conosciuti nel momento sbagliato, quando ero ormai già troppo grande e scazzato per fidarmi di te, per affidarti la mia vita. Ho cominciato a scoprirti e ad amarti quando ho capito che dovevo andare via, che vivendo accanto a te non ci sarebbe stato un futuro.

Sei una città stanca, umiliata e scontenta. Sei una poesia che non legge più nessuno, una donna bellissima che aspetta che qualcuno venga a salvarla dai maltrattamenti di un amante ingrato. Ho rinchiuso la voce di quel mare e le grida delle tue strade in un angolo della mia mente e le ho portate via con me, lontano da questi anni di solitudine e false speranze.

Ti ho portato in ogni cosa che ho fatto a Milano. Tu eri negli occhi della donna che amavo, figlia tua proprio come me. Ti ho messo nelle parole che scrivevo per cercare la fama e il mio posto nel mondo. Sei un biglietto da visita scomodo ma a cui non rinuncerei mai. Ho difeso la tua dignità calpestata, la tua bellezza un po’ sbiadita e la tua storia dalle offese degli ignoranti e dalle bugie che ti vomitavano addosso.

Sei dentro me come un marchio indelebile. Non trema la mia voce quando mi chiedono da dove vengo, non esita il mio cuore quando nelle mie parole riconoscono il mio DNA. Se solo fossi stato in grado di costruire qualcosa accanto a te, di restarti vicino per difenderti dai tuoi demoni interiori, non ti avrei lasciata mai. Sei la mia stella polare, mentre Milano è stata la mia Isola che non c’è e che purtroppo non c’era.

Dopo tre anni non sento più l’eco nella voce del tuo mare.

I miei pensieri restano intrappolati in testa e le mie domande non trovano risposta. Ho appena lasciato il lavoro. Il secondo in pochi mesi.

E ora cosa farò?

Devo continuare a lottare per riprendermi la mia vecchia vita o devo accontentarmi della prima cosa che trovo e dare il colpo di grazia definitivo ai miei sogni? Che senso ha restare a Milano per finire a lavorare in un triste call center quando potrei farlo anche nella mia città?

Se devo piangere lacrime di rimpianto e frustrazione, perché non farlo nelle tue braccia? Se devo morire di tristezza e rassegnazione, perché non farlo nel dolce canto del tuo mare? Non ho risposte e neanche tu sai più aiutarmi. Taci, bella e maledetta come sei. Resto accanto a te per qualche giorno, il tempo di ricaricare le pile e poi ritorno a Milano per provare a riprendere in mano la mia vita. Chissà se un giorno tornerò a chiamarti casa.

Ti amo, come si ama una madre che ti ha dato la vita.

Ti amo, come una puttana da usare senza rispetto e umanità.

Ti amo come si ama una donna che non ti ricambierà mai.

Ti amo ma ti devo lasciare andar via.

14. PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA’- Volume 2

Il modo più facile per diventare pubblicitario in Italia è iscriversi a una delle salatissime scuole private che si trovano sparse tra Milano e Roma.

Spendere 15.000 euro per finire a fare un lavoro che dà pochi soldi e pochissime certezze è un’idea che può venire in mente solo a sognatori incalliti e fortunati che hanno alle spalle genitori facoltosi che possono permettersi di finanziare i sogni dei figli per anni e anni. Per vivere dignitosamente a Milano ci vogliono almeno 1.500 euro al mese. Calcolate che un pubblicitario medio prima di vedere questi soldi ci mette anni e immaginate un esercito di sognatori mantenuti che va avanti con contratti a progetto eterni fino a quando o ti assumono o ti mandano a cagare.

Sembrava di far parte della classe di Amici di Maria De Filippi. Brief, concorsi, competizioni internazionali, litigi, invidie, amori, sfide continue.

Only the brave survive.

Ovviamente a me il coraggio mancava e Clelia ne aveva da vendere. Sin dal primo giorno lei sapeva perfettamente cosa voleva e come ottenerlo. E non era la sola.

Per me che venivo da una laurea in psicologia e che la pubblicità l’avevo vista solo in tv, era tutto un mondo da scoprire.

Non ne sapevo nulla di agenzie, di leoni d’oro a Cannes, di art directors club, di pensiero laterale e lovemarks.

Clelia sapeva già tutto.

Dopo un mese aveva già deciso in quale agenzia voleva andare a lavorare e ovviamente c’è finita ancor prima della fine del corso.

Io non avevo ambizioni particolari, ho dovuto costruirmele piano piano. Ho rinunciato a offerte di stage in agenzie che erano rimaste alla pubblicità degli anni ’50 con mega bolloni e titoli con 15 punti esclamativi. Ho detto di no a colloqui in posti che con la pubblicità come la intendiamo noi comuni mortali avevano ben poco a che fare.

Ho dovuto lottare e sperare per mesi, mentre Clelia e gli altri compagni di corso producevano già le prime campagne reali.

Avevo quasi smesso di sperare quando è arrivata l’occasione da non sprecare: uno stage in una delle più importanti agenzie del mondo. Una di quelle che fanno spot memorabili e capaci di farti piangere.

Mi è bastato un anno e mezzo per smettere di sognare e mandare tutto a rotoli.

Questo momento in cui mi trovo ora, questo stupido limbo in cui non so da che parte andrà la mia vita, mi ricorda terribilmente i mesi trascorsi a vagare di agenzia in agenzia alla ricerca di uno stage.

Ma all’epoca avevo l’amore di Clelia e delle speranze a sostenermi.

Ora non so proprio a cosa aggrapparmi quando mi alzo dal letto la mattina.

9. COME E’ UMANO LEI

Quando lavoravo in pubblicità ero convinto di fare il peggior mestiere al mondo. Orari assurdi, stipendio da fame, poche prospettive per il futuro e poca pochissima gloria. Quello che mi faceva più male era il non poter immaginare un futuro con Clelia. Progettare una famiglia, sognare dei figli, una casa, era qualcosa che a noi non era concesso.

Invidiavo il suo successo e la sua fame di gloria. Stare con una persona che fa il tuo stesso lavoro e che per forza di volontà e fiducia nei propri mezzi riesce molto meglio di te, è come dare il colpo definitivo alle tue già fragili ambizioni. Giorno dopo giorno avevo smesso di credere in quello che facevo. Mi sembrava inutile passare le giornate a preoccuparsi del modo migliore per vendere una merendina o un rotolo di carta da culo. E poi mi sentivo troppo sfigato e incapace per stare in quel mondo popolato da personaggi mitologici convinti di salvare il mondo con il proprio lavoro.

Mi sentivo troppo impacciato per gli aperitivi a Corso Como, troppo poco cool per fare bella figura quando accompagnavo Clelia alle feste di agenzia.Sì, perché poco importava se le agenzie non avevano i soldi per pagare stagisti e collaboratori a progetto. L’importante era organizzare mega party prima di Natale e delle vacanze estive per dimostrare a quelli delle agenzie concorrenti di essere i più fighi, di avere i soldi, di essere più originali.

Clelia era affascinata da tutto questo, dal finto lusso e dalla inesistente fama che popolava l’ambiente pubblicitario. Per lei era più importante poter dire di aver vinto qualche ambito premio al Festival Di Chissàcchè che metter su famiglia. Conosceva i suoi direttori creativi meglio di quanto conoscesse me.

Era deprimente.

Quando mi sono ritrovato senza una donna accanto, avevo di fronte due possibilità: tirare fuori le palle e ritagliarmi finalmente un posto decente in quel mondo o mollare tutto definitivamente e accettare di essere un uomo medio senza aspirazioni particolari, senza ambizioni e incapace di sognare. Scelsi la seconda strada accettando la prima proposta semiseria di lavoro. Un lavoro noioso ma con orari normali e stipendio garantito a vita. Mi sono bastati pochi giorni passati tra fatture, numeri, cavilli legali e serietà per capire di aver fatto un colossale errore.

Dovevo fidarmi delle mie sensazioni: dell’odore triste e deprimente che sentivo la mattina quando entravo nel mio nuovo ufficio. Era odore di vecchiaia, di scelte sbagliate, di un cumulo di possibilità gettate al vento. Era l’odore di quello che ho sempre evitato di diventare: una persona senza sogni, fredda e calcolatrice. Sono resistito un mese. Il tempo di sbattere la testa contro la cazzata che avevo fatto; il tempo per capire che a 27 anni, quando nessuno ti corre dietro, è ancora troppo presto per accontentarsi.

Sono fuggito via dopo aver pianto lacrime amare ed essermi maledetto ogni giorno quando riaprivo gli occhi. Mi sono tuffato in questo mare di incertezza in cui navigo ora: tra colloqui in pubblicità senza speranza, corsi di formazione che non iniziano mai, preghiere e ottimismo che tanto non cambiano mai lo stato delle cose. Ho paura di aver gettato tutto via definitivamente e di essere costretto in un modo o nell’altro a dover finire in uno squallido ufficio e di dovermi travestire di nuovo da Ragionier Fantozzi e stavolta per tutta la vita.