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18. LA FUGA DI UN CERVELLO

Sono sempre stato più bravo a scappare che a rincorrere.

Da sempre fuggo dai problemi, dalle mille difficoltà che si frappongono tra noi e la realizzazione di quelli che chiamiamo sogni.

Per trasformare un interesse, un lavoro, un hobby, una storia d’amore in un sogno devi crederci. E crederci vuol dire soffrire, piangere fino a sentirsi male e non avere più lacrime.

Per credere in un sogno devi avere la capacità di guardare lontano, oltre l’oggi fatto di problemi e calci in culo.

Il sogno è oltre. E’ il posto dove ancora non sei stato, è il traguardo irraggiungibile che diventa più vicino di giorno in giorno se solo provi a crederci e a impegnarti perché diventi realtà.

Solo con le donne non sono mai fuggito. Sono stato capace di stare dietro alla stessa ragazza per anni, nutrendomi di illusioni e speranze, rinunciando alla possibilità di vivere altre storie. Mi bastava il sogno per star bene e andare avanti.

Nello studio, nel lavoro e in tutti gli altri aspetti della mia vita non ho mai avuto la costanza e la caparbietà per andare avanti.

Mi sono trascinato negli anni dell’università preparando gli esami in una settimana, imparando il minimo indispensabile e senza mai approfondire realmente quello che trovavo nei libri.

Dicono che chi sceglie di studiare psicologia lo faccia prima di tutto per cercare di capire sé stesso. Cinque anni di esami non mi hanno dato alcuna notizia in più sulla mia insicurezza e sul perché non riuscissi a guarire dalle mie paure.

E’ che il mio cervello scappa. Cerca nuove strade, nuove possibilità. Il mio cervello si rinchiude nella sua scatola e si limita a guardare mezzo metro oltre. L’orizzonte è troppo lontano per poter tracciare una linea e toccarla con mano. L’orizzonte non esiste, è fantasia, è finzione da lasciare ai pazzi e ai sognatori.

E dire che sono sempre stato un sognatore. Sognavo donne che non mi volevano, sognavo sogni enormi e irrealizzabili.

E’ una scelta di comodità, proprio come con Martina.

Ho avuto la possibilità di inseguire due sogni difficili ma realizzabili: fare lo psicologo o fare il pubblicitario. Due lavori che sono tutto tranne che comuni e noiosi. Ma il mio cervello pazzo è scappato come sempre, limitandosi a vedere solo i problemi e le mille difficoltà che si collegano ai sogni.

Ancora oggi faccio fatica ad accettarmi e allora finisco per invidiare l’ignoranza, la banalità, chi si accontenta.

Invidio chi ha la vita prestabilita già all’età di 8 anni. I figli dei commercialisti che finiscono a fare lo stesso lavoro del padre, quelli che ereditano l’attività di famiglia, i ragazzi cresciuti senza troppe illusioni e col solo obiettivo di avere al più presto uno stipendio fisso.

Li ho invidiati così tanto da desiderare di diventare proprio come loro. Io che ho avuto la fortuna di poter credere alle favole e ai sogni.

Oggi vedo tutto chiaro e proprio adesso che comincio a capire chi sono e cosa voglio da me, rischio di cadere nella banalità e in una vita scontata e senza emozioni.

Mai desiderare troppo una cosa inconsciamente, perché alla fine questa ci arriva addosso con tanta violenza da lasciare un segno permanente.

Voglio spegnere il cervello per un po’. Riappropriarmi dei sogni e vivere ascoltando solo lo stomaco e la pancia.

Voglio silenzio e pace nella mia testa, per trovare il senso della mia vita nelle emozioni di ogni giorno. Voglio vivere nelle risate di mio nipote, nei litigi in ufficio, nelle piccole soddisfazioni che si provano nel fare bene una cosa, nell’abbraccio di un amico che non vedi da tanto, negli occhi di una ragazza che per strada ricambia un tuo sguardo.

Voglio riappropriarmi delle piccole cose, per spingere il domani più in là e per capire finalmente che l’orizzonte è avanti a noi.

Non è tra dieci anni, tra trenta o quaranta. Non è nel sogno di un matrimonio che non vedrai mai se prima non ti rendi abbastanza libero da poter amare sul serio. Non è in un figlio che non nascerà mai se prima non impari a volerti bene.

L’orizzonte è oggi.